Riparte da Casalecchio la nuova vita di Fabio Aru, esattamente dove era iniziata la prima. Riparte da Andrea Cevenini, cinquant’anni, gioielliere nella vita, tecnico del cross nello sport, dopo esser stato ciclista a livello giovanile, ai tempi del suo coetaneo Pantani, tra l’altro incrociato spesso in gara. E’ a lui che il giovane Aru deve gli inizi di una carriera di successo, è a lui che il campione sardo si è rivolto adesso per rialzarsi da tre anni difficili e deludenti. Stesso percorso di allora, quello fangoso e freddo del fuoristrada: l’augurio è che porti agli stessi risultati.
Cevenini, la storia si ripete: si aspettava di dover lavorare ancora con Aru?
«Sinceramente no, ma lo faccio volentieri: Fabio è un bravo ragazzo, non sempre ha avuto vicino la gente giusta».
Anche per questo è tornato alle origini: come è nata questa nuova avventura?
«Ne ho parlato con Locatelli, ex diesse di Fabio nei dilettanti: mi ha detto che, se me la fossi sentita, era giusto ripartire assieme».
Riavvolgendo il nastro: come era iniziata?
«Una quindicina di anni fa, nelle Marche. Da tecnico della Ccv sono a una gara nazionale con Rafael Visinelli, un atleta di valore (campione italiano e ottavo ai Mondiali di cross, ndr). Mi colpisce quel ragazzino sardo un po’ scalcagnato, bici fuori misura e abbigliamento precario: su invito di Fausto Scotti, attuale ct azzurro, gli fornisco materiale idoneo. L’anno successivo Fabio viene a correre con me».
Così il Cevenini tecnico diventò anche manager e secondo padre, come oggi racconta Aru.
«Arrivava il venerdì sera dalla Sardegna per correre nel weekend, lo ospitavo a casa mia. Iniziammo con le gare in zona, poi ci allargammo: per farlo crescere andammo in Svizzera e Repubblica Ceca».
E’ vero che dovette insistere perché corresse su strada?
«Non voleva farlo. Con mio padre Bruno lo convincemmo a provare: poté iscriversi al giro della Lunigiana solo perché allestimmo per lui una rappresentativa sarda, fosse nato in Lombardia non avrebbe avuto chance di partecipare, vista la concorrenza. Fu in quell’occasione che Locatelli lo vide e lo portò fra i dilettanti».
Da lì sono arrivati una Vuelta vinta, due podi al Giro, la maglia gialla al Tour, quella tricolore, tappe in tutti e tre grandi giri, prima di tre stagioni al buio. E adesso?
«Ci aspetta un percorso pieno di ostacoli, nel quale dovrà mettere carattere e determinazione. I primi segnali sembrano buoni».
Che Fabio vede dopo le prime gare?
«Sereno, disponibile con tutti: ride, scherza, è contento. Dal punto di vista del cross gli manca qualche abitudine, ma noi stiamo lavorando per recuperare Fabio, non Aru. Lo facciamo per lui e basta, senza altri scopi: sia io che Locatelli viviamo di altro».
Cevenini, insieme ad Aru sta ricominciando anche lei?
«E’ proprio così. Mi ero fermato una decina di anni fa, quando Fabio era passato dilettante. Nel ciclismo non ho più fatto nulla, ho giocato a golf per otto anni. Al punto che nell’ambiente del cross, quando si è saputo che avrei dato una mano a Fabio, c’è chi ha scritto sui social ‘Cevenini is back’».
da Il Resto del Carlino - Edizione Bologna
foto ©BettiniPhoto
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