Nato e cresciuto in Friuli, Matteo Fabbro correrà anche quest’anno con la Bora-Hansgrohe. Il ragazzo di Udine ha ben figurato nel 2020 ma ora vuole dare di più, non si accontenta di essere un punto di appoggio importante in squadra ed è pronto a salire sul gradino più alto del podio di una corsa.
Soddisfatto del lavoro fatto?
«Penso che il bilancio del mio 2020 sia positivo. Ho dimostrato di essere maturato, in particolare nelle corse italiane, ma voglio continuare a crescere e a migliorarmi».
Qual è il ricordo più bello della passata stagione?
«Se devo parlare in generale direi sicuramente il Giro d’Italia, ma se dovessi dire un episodio particolare allora direi la tappa della Tirreno-Adriatico dove sono arrivato terzo».
Per lei quel terzo posto con arrivo a Loreto, va visto in chiave positiva. Perché?
«Avevo quasi vinto quel giorno, qualcuno potrebbe pensare che quel terzo posto è una sconfitta, invece è da lì che nella mia testa è scattato qualcosa di importante e ho capito che avrei potuto cercare una vittoria».
Che corsa è stata per lei la Tirreno-Adriatico?
«Per me è stata una corsa nuova, non l’avevo mai fatta nei due anni in Katusha e devo dire che mi è piaciuta molto. Il percorso si addice molto alle mie caratteriste e poi... in questa corsa ho quasi vinto».
Dopo due anni in Katusha è approdato alla Bora-Hansgrohe: com’è stato il passaggio?
«Naturalmente sono stato molto dispiaciuto di dover lasciare la Katusha, è stata la mia prima squadra da professionista e nel gruppo mi trovavo veramente bene, poi la squadra chiudeva ma il passaggio è stato stimolante:in Bora Hansgrohe sono molto professionali, si curano anche i più piccoli dettagli».
Che stagione sarà per lei questa?
«Speriamo di poter correre con la massima normalità prima di tutto. Vorrei migliorare i miei risultati. Per quanto riguarda il calendario, penso che in linea di massima resterà lo stesso. Avrei dovuto partire per l’Argentina ma la corsa è stata annullata, quindi mi concentrerò su Tirreno, Paesi Baschi e Giro d’Italia».
Dopo il lockdown, com’è stato per lei il ritorno alle corse?
«Meraviglioso: aspettavo quel giorno come un regalo prezioso. Venivamo da mesi in cui potevamo fare solo i rulli e il poter tornare ad allenarci su strada anche è stato una conquista, così come lo è stato tornare a correre: io sono ripartito da Burgos, non c’era pubblico ed era strano questo, ma è stato un momento unico».
Quando è tornato ad allenarsi su strada, ha avuto problemi con gli automobilisti?
«Onestamente no, perché la gente nella zona mi conosce bene, poi io mi alleno da solo e ho sempre cercato di usare il buon senso».
Ha detto che tornerà al Giro d’Italia, che corsa è per lei?
«E’ la nostra corsa, per ogni corridore italiano correre al Giro è la realizzazione di un sogno. Da piccoli corriamo con il sogno di arrivare da grandi a disputare il Giro».
Lei come ha iniziato a fare ciclismo?
«La prima bici è arrivata con i miei due nonni che allenavano nelle squadre giovanili. Tutti e due mi portarono in un negozio per acquistare la mia prima bici, fu un momento molto bello quello per me. La mia famiglia è sempre stata molto legata al ciclismo, sia da parte di mia madre che di mio padre, quindi per me iniziare è stato facilissimo, praticamente non potevo sfuggire a questo destino e da subito mi sono appassionato».
Quando ha capito che il ciclismo sarebbe diventato il suo lavoro?
«Nelle categorie giovanili pensavo a divertirmi, non era neanche troppo importante la vittoria, correvo più per il post gara. Poi man mano che crescevo, ho capito cosa volevo fare e anche il modo di allenarmi è progressivamente cambiato, diventando sempre più metodico. Avevo capito che non era più un gioco e che dovevo impegnarmi, cercando anche di coniugare la scuola con lo sport».
Se dovesse descriversi come corridore, cosa direbbe?
«Sono uno scalatore che si difende a cronometro, ma non sono molto veloce. Istintivo e impulsivo dal punto di vista caratteriale».
L’istinto in gara l’ha aiutata?
«Sì. Ad esempio alla Tirreno è stato l’istinto a dirmi quando dovevo attaccare e posso dire che fino ad oggi il mio istinto non mi ha mai tradito. Anche al Giro, quando Majka si è staccato, avevo capito da solo che dove fermarmi e rimanere con lui, poi la squadra è intervenuta dicendomi di continuare come stavo facendo».
Lei ha sempre ammirato Peter Sagan, cosa ha provato quando ha saputo che avrebbe corso con lui?
«Ero praticamente senza parole. Lui era uno di quei corridori che guardavo sempre in televisione e poi ho avuto l’onore di correrci insieme. Anche alla Katusha ho avuto la possibilità di correre con grandi corridori, come Kittel e Martin, ma Sagan è Sagan. Lui è un campione anche quando non è in bici, riesce sempre a sorprenderti, è veramente un fantasista».
Prima di diventare professionista, a quale corridore si ispirava?
«Adoravo Purito Rodriguez, fisicamente siamo abbastanza simili e anche lui come me ha un bel caratterino. Ho avuto la possibilità di conoscerlo e per me rimane un numero uno».
Lei è molto giovane e ancora non è arrivato ad una vittoria importante. Potendo scegliere, quale corsa le piacerebbe conquistare?
«Mi piace molto la Freccia Vallone, è una corsa che forse non è neanche adatta alle mie caratteristiche e per questo potrei anche non conquistarla mai, però è una corsa bella, mi piace, sarebbe bello tagliare un giorno il traguardo per primo. Qualche volta ci si appassiona a qualcosa che forse non ci si addice, però in qualche modo considero la Freccia Vallone la mia corsa».
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