Alla vigilia di Natale Fabio Jakobsen ha deciso di raccontare per la prima volta il suo dramma. Il corridore della Deceuninck-Quick Step ha voluto ripercorrere quella corsa al giro di Polonia, teatro del suo terribile incidente, quando per la manovra scorretta di Groenewegen si schiantò contro le transenne. La paura di morire e non tornare più lo stesso è stata tanta e solo adesso riesce a vedere la luce.
«Cento volte ho pensato: ecco, sto per morire». Questo è stato il pensiero che ossessivamente ha attraversato la mente dell’olandese, che il 5 agosto si era schiantato a 85 km/h sul traguardo di Katowice. «Groenewegen ha chiesto di incontrarmi, ma non sono ancora pronto. Non è facile affrontare tutto questo ancora una volta».
All'Algemeen Dagblad, Jakobsen ha fatto l’elenco dei danni riportati: una contusione cerebrale, fratture al cranio, naso rotto, palato rotto e lacerato, dieci denti rotti. E ancora parte della mascella superiore e inferiore distrutte, tagli sul volto, un pollice rotto, spalla e polmoni contusi e per finire il nervo che comanda le corde vocali lesionato. Jakobsen ha davvero sfiorato la morte quel 5 agosto in Polonia e il racconto fatto da chi lo ha visto in quegli attimi, appeso tra la vita e la morte, è straziante. E’ sopravvissuto l’olandese, che sul traguardo di quella tappa stava soffocando a causa del suo stesso sangue: non ricorda più nulla del grave incidente, sa solo di essere quasi morto tra le transenne al traguardo.
«C'era sangue ovunque. Mi hanno detto che le persone intorno non riuscivano a fare nulla: erano paralizzate nel vedermi in quello stato. Il mio compagno di squadra Florian Sénéchal ha visto che stavo soffocando nel mio stesso sangue. Non riuscivo a muovermi, ha visto il panico nei miei occhi. Istintivamente mi ha preso la testa sollevandola leggermente, facendo uscire il sangue che mi ostruiva la gola. Quando lo ha fatto, ha detto che era come se mi fossi calmato».
La reazione istintiva di Florian Sénéchal è stata un salvavita per Fabio, come risulterà anche dai verbali. Jakobsen è stato in coma artificiale per due giorni. Il terzo giorno è stato in grado di comunicare un po’ con la sua fidanzata Lore per la prima volta. In un’altra intervista aveva raccontato che della sua bocca non era rimasto più nulla, come quasi nulla era rimasto della sua mascella. Nei giorni seguenti, Jakobsen era terrorizzato nel suo letto d'ospedale e, a causa dei dosaggi elevati di farmaci ha avuto un crollo emotivo.
«Ogni volta pensavo: eccomi qui. Questa è la fine, sto morendo. Non lo era veramente, ma io mi sentivo così. È successo circa cinquanta volte, forse anche cento».
Dylan Groenevegen, autore di quell’azione che ha causato l’incidente, sta vivendo un dramma in un modo diverso, perché i sensi di colpa sono tanti. Jakobsen però non si sente ancora di incontrarlo, un giorno forse i due corridori parleranno e si chiariranno, ma quel momento ancora non è arrivato.
«Non sono ancora pronto ad incontrare Groenewegen. Lo incolpo ancora in qualche modo: non sono così illuminato da dire che non poteva farci niente. Avrebbe dovuto pensare prima alle conseguenze della sua azione. Siamo umani, non animali. Questo è sport, non una guerra dove tutto è permesso. Non molto tempo fa Groenwegen mi ha chiesto se potevamo vederci. Capisco che pesa anche sulla sua anima tutto questo, che anche lui deve lasciarsi alle spalle quell’episodio. Ma non sono ancora pronto, per prima cosa voglio avere maggiori sicurezze sulle mie condizioni».
Il volto di Jacobsen è stato gradualmente ricostruito, almeno esternamente, ma ci sono ancora molti danni interni su cui lavorare: una nuova operazione è programmata per febbraio e l'olandese non avrà tutti i denti fino al prossimo autunno. Fabio ha deciso di combattere con tutte le sue forze, vuole tornare a correre e dimenticare quanto è successo. Jakobsen è di nuovo salito sulla sua bici, sta seguendo un programma di riabilitazione che richiede del tempo. Spera di poter tornare a correre nel gruppo a marzo. Ma è più probabile, per sua stessa ammissione, che questo accada in agosto.