K come Kelderman. Nel senso di Wilco, corridore olandese. Uno dei più temuti in questo Giro, pur non vincendo una corsa da quattro anni e non essendo mai salito su un podio in una corsa a tappe: o le assenze giocano per lui o gode di fiducia illimitata. Ventinove anni, è catalogato passista scalatore, ma in carriera ha vinto quasi solo crono: qualcosa non funziona, non in lui ma in chi cataloga. Il suo cognome significa cantina, ma non risulta sia un bevitore né che collezioni vino: al massimo va in cantina, cioè cala di tono. A quanto risulta, Wilco non è un omaggio ad una nota rock band americana, ma c’è il sospetto sia un diminutivo: sta per Wil Coyote, forse perché come il popolare fumetto è abituato ad inseguire. Da buon olandese, ama correre nel vento e disprezza chi corre col Ventolin. E’ l’uomo invisibile di questo Giro, in corsa non si vede mai: quando i compagni si sentono dire di star vicini a Wilco, pensano a uno scherzo o a una caccia al tesoro. Di quelli che lo scortano, il più presente è l’australiano Hindley: per trovare il suo capitano, si è fatto prestare dai Ris il luminol, un evidenziatore di tracce. Secondo in classifica quasi all’insaputa, soprattutto sua, Kelderman continua a pedalare restando trasparente: in un Giro fin qui disegnato dalla jella, fra tombini, borracce, transenne che volano e Covid, la miglior tattica è non farsi vedere.
S come squadra. Nel senso di team. Non di strumento da disegno, con angoli da 30 gradi in su, anche se questo Giro non raggiunge simili temperature. Il problema nasce quando a capo di una formazione mettono un geometra: per confonderlo, basta dirgli di usar meglio la squadra. In genere è un gruppo unito, anche se non sempre va allo stesso passo: davanti all’emergenza Covid si è visto che ci sono squadre a due velocità e squadre che fanno retromarcia. Ne esistono di vari tipi, comprese quelle disposte ad aiutare gli altri (squadra di soccorso) o rapide a risolvere la corsa (squadra di pronto intervento). Ognuno è libero di farsi la sua: se è stanco dei ciclisti, può provare con i cestisti, i calciatori o anche gli elettricisti e i minatori. C’è chi allestisce squadroni, chi si accontenta di squadrette: il problema nasce quando si mette in piedi una squadraccia, perché si incorre nel reato di apologia. Chi lo fa va messo in squadra, perché scombussolato, cioè fuori squadra, e può spazientire gli altri, cioè farli uscire di squadra. Si distinguono in base al rendimento: c’è la squadra che vola (squadra aerea) e quella che puntualmente affonda (squadra navale). Poi c’è la task force, dedita a missioni speciali: la Rai ha una particolare squadra di inviati in moto, pronti a descrivere ciò che ha appena visto il telespettatore, col quale fanno squadra. Dopo una corsa vinta, la squadra va ringraziata sempre: quando ha tirato la volata, quando ha fatto il forcing in salita, quando si è subito dispersa per le valli e la cercano con i cani. Il miglior ringraziamento resta comunque offrire una bella bevuta in albergo, brindando a spumante o con un superalcolico: quel che si dice spirito di squadra.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.