M come mascherina. Nel senso di strumento per proteggersi dal Covid. Una delle principali novità di questo Giro, peraltro già nota: da mesi è sulla bocca di tutti. Non è una moda, anche se alcuni modelli tendono al glamour: è una scelta per rendere elegante la testa, anche se in certi casi aiuterebbe averne una. E’ adattissima al ciclismo (la mascherina, come la testa): in un ambiente in cui le bici si chiamano F10 e C60, ci stanno benissimo anche la Ffp2 e la Ffp3. Alcuni corridori preferiscono quella chirurgica: non in quanto più leggera o efficace, ma perché ricorda il loro modo di muoversi in corsa. Oltre che per tutelarsi dal virus ed evitare situazioni complicate come nel calcio di serie Asl, è anche un sistema per proteggere gli altri: evita di imbattersi in brutte facce. Non è obbligatoria ovunque, anche se in certi settori sarebbe meglio che lo fosse: ad esempio in tv, dove qualcuno la bocca dovrebbe tenerla non solo coperta, ma anche chiusa. Al Giro è apparsa fin dalla presentazione, per quanto in maniera scomposta: c’è chi l’ha tenuta sempre, chi soltanto durante la sfilata, chi un po’ sì e un po’ no, chi sul palco l’ha abbassata e chi disgraziatamente l’ha alzata, come quel corridore che all’uscita non ha visto la scala. E’ anche un’arma tattica, perché impedisce di notare preoccupazione, agitazione, visi sorridenti o tesi, specialmente nei corridori che puntano a vincere il Giro: quelli che, al momento giusto, gettano la maschera.
T come tombino. Nel senso di copertura delle fogne. Uno dei protagonisti della crono d’apertura, dove ha fatto fuori due corridori: non un’ecatombe, ma un ecatombino. Uno è Luca Covili, giovane della Bardiani Csf, fuori tempo massimo dopo aver rotto una ruota su una copertura stradale: ha dato l’addio alla corsa seppellendola in un tombino. L’altro è il ben più noto Miguel Angel Lopez, non certo un drago a guidar la bici: su certi percorsi, i suoi tecnici più che un paio di gregari preferirebbero dargli un paio di rotelline. Nel centro di Palermo, per colpa di una protezione fognaria, il colombiano ha perso il controllo della bici e si è schiantato sulle transenne: Giro chiuso, in questo caso chiusino. Può succedere, anche se c’è chi non ha lasciato nulla al caso: già è brutto perdere le chiavi di casa in un tombino, figuriamoci un corridore. Per evitare rischi, la Ineos ha effettuato un attento sopralluogo del percorso: il ds Dario Cioni è stato così meticoloso da memorizzare non solo i tombini, ma anche la rete fognaria sottostante e i suoi frequentatori. Così Ganna ha potuto filare verso la sua prima maglia rosa dribblando gli ostacoli, uno slalom vincente che gli è valso anche il titolo di Alberto Tombino. A conferma che le migliori strategie si costruiscono sui piccoli dettagli, lavorando con la massima attenzione ma soprattutto nella riservatezza: il classico silenzio di tombino.