A ciascuno il suo lo dà il direttore Stagi con le pagelle personalizzate, analizzando la corsa al microscopio. A nome di tutti gli altri osservatori, che non hanno il dovere di cavillare sulla singola azione e sulla singola prestazione, mi sento in dovere di dire questo: visto dall'alto, dal drone della visuale complessiva, è un Mondiale sontuoso.
Lo so, è improvvisato, rabberciato, miracolosamente messo in piedi dagli imolesi in poco tempo, ma il risultato è psichedelico. Invito tutti a guardare l'ordine d'arrivo, più o meno fino alla trentesima posizione: qualcuno mi dica se ricorda un Mondiale più sincero e più giusto. A partire dal primo, Alaphilippe, che firma il gol-partita con un colpo di tacco sull'ultima salita, coefficiente di difficoltà raddoppiato perchè tutti l'aspettano, passando per gli altri due del podio, finendo a perderci nei piazzati, abbiamo davanti il vero Rotary del ciclismo in linea (e non solo) di questa epoca.
E allora dico: che cosa chiedere di più a un Mondiale che sarebbe di ripiego, dopo la rinuncia della Svizzera, dopo il prepotente sfratto ad opera del Covid, padrone di casa sfacciato in tutto il mondo? Ci saremmo accontentati di molto meno, diciamolo sinceramente. Invece ci ritroviamo davanti il meglio. Quante volte, in quante edizioni pompatissime per organizzazione, investimenti, marketing e quant'altro, ci siamo ritrovati davanti la montagna che partoriva il topolino. Quante volte ci siamo ritrovati a dire, d'accordo, è finita così, ma in fondo il Mondiale è una lotteria, dura un solo giorno, non possiamo pretendere che stabilisca gerarchie realistiche e attendibili. Basta fermarci all'anno scorso: con tutto il rispetto, che è tantissimo, soprattutto per il secondo classificato, ma nessuno può paragonare l'epilogo Pedersen-Trentin-Kung con questo di Imola. Qui, su un percorso bello anche solo da guardare, è fortissimo il vincitore, secondo me il più forte già da un po' nelle gare singole, e sono fortissimi pure i battuti, a cominciare dall'imbattibile Van Aert.
E allora, davanti a cotanto spettacolo, tiriamola pure la morale della storia, anche se può sembrare persino un po' esagerata, ma chi se ne importa. La morale a me sembra questa: per fare e vedere un grande Mondiale non bisogna trastullarsi in formule fantascientifiche. Basta un signor tracciato e poi ci pensano i corridori. Quelli veri, i campioni. Non serve altro. Quanto meno, non a noi che siamo intenti a guardare. Per una volta, si torna a casa senza rimpiangere altri tempi e altri nomi. Certo Alaphilippe non vince al modo di Adorni: ma è meglio se cominciamo a capirla, i tempi sono cambiati. Assieme al mondo intero. Alaphilippe è signore e sovrano del suo mondo, il nostro mondo d'oggi. E non serve altro.