Il grido di allarme di Gaetano “Nino” Daniele è stato composto, misurato e responsabile, il tutto dettato da buonsenso e senso della realtà. Il noto medico dello sport, responsabile sanitario di Trek Segafredo, sa perfettamente, come i suoi colleghi e il ciclismo tutto, che ci sono altre priorità, ma al momento anche la ripartenza del ciclismo è una priorità. Lo sta diventando. I problemi sono lì da vedere. Soprattutto davanti a noi ci sono ancora troppi punti interrogativi, che necessitano una risposta. Perché nel mondo solo i corridori italiani devono ripetere i test da sforzo? Perché devono rifare da capo ecocardiogramma Color Doppler e spirometria anche se sono negativi al Covid con anticorpi negativi e senza alcun contatto con malati Covid? A chi serve e, soprattutto, è utile farlo? Perché l’Uci chiede il tampone ogni dieci giorni e per gli italiani devono essere effettuati ogni quattro (piccolo particolare: non è semplice farseli fare se un atleta o un membro dello staff è sano, ndr)? Perché il nostro Paese deve essere sempre rallentato e quindi minato da una burocrazia che solo a parole vuole essere bandita, annullata, ma resta sempre ben salda nella nostra cultura, soprattutto in quella delle nostre istituzioni?
Tanti sono i perché, forse anche i “why” e i “because”, per dirla con Antonio Albanese, ma a pochi giorni dalla ripartenza il ciclismo italiano chiede di poter ripartire con regole uniformi, quelle dell’UCI. A tale proposito abbiamo raggiunto telefonicamente Renato Di Rocco, presidente della nostra Federazione, nonché numero due del movimento mondiale, con il quale abbiamo scambiato due chiacchiere.
Presidente, cosa pensa di quanto ha detto Nino Daniele?
«Ha perfettamente ragione e lo capisco, ma per un presidente della Federazione Ciclistica Italiana non esiste solo il professionismo, c’è il ciclismo in tutte le sue declinazioni».
Quindi i professionisti facciano quello che dicono di fare e non disturbino il manovratore?
«Non dico assolutamente questo. È un problema che blocca diverse discipline, non solo il nostro sport. Se non si toglie il distanziamento dei due metri la questione resta molto difficile. Anche il beach volley – per fare un esempio - non può giocare. Anzi, loro sono anche messi peggio di noi perché per legge il pallone andrebbe sanificato ad ogni tocco di mano. C’è questo eccesso di prudenza da parte del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) e del Ministro della Salute Roberto Speranza che non ha voluto sottoscrivere il decreto tanto atteso del 25 giugno e dall’altra parte c’è lo spirito, la forza, la spinta e l’entusiasmo del Ministro allo Sport Vincenzo Spadafora che comprende quanto sia importante far fare dello sport a dei ragazzi che alla sera riempiono le vie delle nostre città o dei luoghi di villeggiatura per fare aperitivi e incontri massivi. È chiaro che al momento ci sono delle contraddizioni, ma si sta lavorando per rendere tutto più coerente».
Ma di quanto ha detto e denunciato da Nino Daniele cosa pensa?
«Lo ripeto a chiare lettere: ha ragione, e va fatto assolutamente qualcosa, ma ci vuole tempo, e poi l’ho già detto e lo ripeto: non c’è solo il professionismo».
Quindi la partita è persa, i professionisti si arrangino?
«No, non sto dicendo assolutamente questo. Il decreto dell’11 giugno scade il 14 luglio. Se l’analisi della diffusione del contagio migliora o resta invariata, io auspico un “liberi tutti” nel nome della sicurezza e di protocolli più “light”. Noi abbiamo attivato tutte le discipline tolte quelle di gruppo. Io capisco che tutti facciano riferimento a Di Rocco, ma qui è tutto lo sport che è fermo o in difficoltà».
Non trova che la Federazione Medico Sportiva avrebbe dovuto aiutare maggiormente la CTS a comprendere le esigenze dello sport?
«Il Coni ha voluto mettere di mezzo il Politecnico di Torino per le quote di rischio e anche la Federazione Medico Sportiva, che di fatto ha redatto dei protocolli o delle linee di indirizzo a chi doveva poi decidere. Forse è stata creata un po’ di confusione, ma poi però si è partiti, come ad esempio nel calcio».
Si, certo, ma per farlo ripartire c’è voluta una modifica: hanno dovuto creare una “quarantena light” altrimenti non ripartiva nemmeno lì.
«Torniamo al punto di partenza. Dobbiamo portare pazienza e aspettare che si muovano le istituzioni. Non è facile e questo è chiaro a tutti, però bisogna cercare il dialogo. Io sto dialogando da mesi con tutti, e continuo a farlo anche adesso. Sto lavorando anche per la buona ripartenza del Giro d’Italia, perché il ciclismo è tutto e io devo guardare all’insieme delle cose. Con la CTS mi sono incontrato anche di recente, e a loro abbiamo anche fornito il protocollo sicurezza redatto dall’Uci per avere appunto un allineamento. Quotidianamente stiamo parlando con tutti. Anche lo stesso Servello che ha fatto una proposta ieri per lo sgravio fiscale per le sponsorizzazioni ha dovuto fare una interrogazione parlamentare al proprio ministro, e questo la dice lunga su quanto sia complessa la questione. Quello del professionismo è uno dei problemi, ma sono certo che si risolverà a breve, anche perché ho due speranze…».
Quali?
«Domani dovrebbero uscire le ordinanze Regionali di Emilia Romagna e Lombardia, con le quali dovrebbero dare il via libera all’attività. E poi il 14 luglio con un nuovo Dpcm penso si possano risolvere le altre questioni. Insomma, tra i decreti regionali e il 14 luglio si dovrebbe chiarire la situazione».
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