In questi mesi di massimi sistemi, e di riflessioni scarne, svanito maggio e affacciati su un giugno a fatica, restiamo in bilico fra speranza e negazione, valori positivi e valori negativi del nostro quotidiano. Anche nel riquadro del nostro ciclismo. Divisi fra il plauso all’orgoglio e il biasimo al pregiudizio, che i fatti di cronaca ci suggeriscono.
E così andiamo orgogliosi in assoluto della tenacia con cui Angelo Letizia e Amedeo Marzaioli, gli amici di Maddaloni, promotori del Premio Letterario «Bici & Parole - Memorial Alberto Marzaioli», nell’ambito di questa manifestazione giunta quest’anno alla sua terza edizione, di fronte alla criticità da pandemia e alla impossibilità di eventi pubblici, hanno egualmente voluto condividere sulle pagine facebook locali e di ciclismo un evento che era stato programmato originariamente per il mese di aprile scorso. Parliamo della mostra fotografica «Il Prete, il Campione Eroe e l’Idolo Locale», dove in 50 fotografie preziose si illuminano gli intrecci personali, sentimentali e sportivi, sotto le stelle del ciclismo e il cielo mite di Maddaloni, delle vite di don Salvatore D’Angelo, il sacerdote fondatore nel nome del volontariato del Villaggio dei Ragazzi, di Gino Bartali, il campione del cuore e della gloria immensa e di Alberto Marzaioli, il professionista di Maddaloni, anni ’60, che dei due grandi personaggi fu un po’ l’umile pupillo... Gino Bartali e don Salvatore D’Angelo, fra l’altro scomparsi nello stesso maggio 2000, venti anni fa...
Orgoglio in assoluto di questo passato, e parimenti nel relativo, e fatto salvo ogni debito confronto, per un ciclista ancora campano, Nicola D’Andrea di San Nicola la Strada, classe ’83, una discreta esperienza da professionista fra la Miche e la Meridiana fra il 2006 e il 2010, che nella vita si è strutturato una dimensione di imprenditore sportivo, sempre partendo dal ciclismo, e che oggi è diventato il presidente della Juvecaserta di basket, società storica... Quel D’Andrea, “Nick“ per surname, intraprendente nel 2020 da adulto, proprio come lo fu da giovane nel 2008, quando andò in fuga alla Sanremo, temerario battistrada sin dalla partenza con altri tre generosi - Savini, Belohvosciks e Frisckhorn -, per 250 chilometri di irripetibile fantasia.
E invece pregiudizio, come quello - in fondo poco tollerabile - che Lance Armstrong continua ad alimentare nei media e nei lettori (lontani) con le sue dichiarazioni che oltre il vero più truce, ormai, non possono andare. Pregiudizio da snob, tutti buoni o perdonabili, e in Tv, lui il Pessimo senza confronto terreno, per sua stessa algida ammissione, condannato ad ardere nel suo fuoco eterno... E tutti, da lontano, ad attizzare, tanto, un articolino contro Armstrong “the Boss” non si nega a nessuno. Funziona. Tira.
Pregiudizio, e santificazione al contrario, semmai pure del nostro caro Marco. Pregiudizio. Ed orgoglio però e per fortuna, ancora, un’altra volta. Orgoglio di Ivan Basso, e di quella sua onestà disarmante nell’affermare - meditate, gente, meditate - che a Lance Armstrong, «qualunque cosa lui abbia detto sul mio conto», su doping e quisquilie, sarà grato per sempre. Per quanto seppe fare nell’aiutare la madre Nives e lui stesso, quando furono affetti loro - come lui - da gravi problemi oncologici.
Grande Ivan, a voce bassa pure, ma in corsivo. La gratitudine in bella vista, sapete cosa è ancora, in questo mondo di iene? Orgoglio per uomini che sanno essere migliori, con i gesti, anche del loro peggiore pregiudizio.
da tuttoBICI di giugno
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