PRIMA CHANCE. Come un leone in gabbia, che non ha pace e non riesce a trovarla. Parla e si dimena, fatica a capire, e dire che passava per essere uno dei più intelligenti del gruppo e, francamente, tonto non lo è mai stato. È chiaro che l’orgoglio, quello smisurato orgoglio, unito ad una eguale ma anche più elevata considerazione di sé stesso, lo sta obnubilando. Non ce la fa proprio a prendere atto della situazione e parla a vanvera. Lance Armstrong è arrivato anche a chiedersi, nel documentario firmato da Marina Zenovich “Lance”, perché mai Ivan Basso si è rifatto una vita, vive bene, lavora tantissimo ed è stimato, «avendo fatto cose simili a quelle che ho fatto io».
È chiaro che Armstrong fatica a ricordare quello che ha fatto. Non si è limitato a gonfiarsi le vene. Non ha barato come centinaia di atleti hanno provato a fare nella loro carriera sportiva, ma lui dal suo sport è stato protetto, avendo comprato il silenzio sia dell’Uci - il governo mondiale della bicicletta - che quello del Tour de France. Lance fatica a ricordare che è finito nei pasticci per la giustizia ordinaria americana: questa sì l’ha messo in croce. Il ciclismo l’aveva semplicemente eletto a semidio, a qualcosa di unico e intoccabile, tanto è vero che non è mai stato sfiorato. Basso, Di Luca, Riccò, Santambrogio, Petacchi e via elencando hanno invece provato a fare i furbi, sono stati presi con le mani nel sacco e per questo puniti. Il ciclismo, il mondo dello sport, non ha mai torto un capello al texano, ne ha solo preso atto: dopo. Molto dopo. A partita finita. Non è un reo confesso, ma un Re che ha confessato a scoppio ritardato, dopo aver costruito un sistema criminoso degno di un “padrino”. Un sistema che l’ha protetto nel suo castello dorato prima che questo crollasse, miseramente, come quelli costruiti con la sabbia. Lance, però, non capisce, si considera un dopato come tanti, ma anche in questo è il più grande e unico. Nessuno hai mai fatto quello che ha fatto lui. Nel bene e soprattutto nel male.
SECONDA CHANCE. Il bulletto fa l’ultimo balletto, anche se temiamo continuerà ad agitarsi ancora un po’, perché fermo non è mai stato capace di stare, e di questi tempi anche di lingua va veloce. “Dance” Armstrong parla e danza, nel documentario “Lance”, in onda negli Usa su Espn. Due puntate sul sopravvissuto al cancro che seppe successivamente vincere 7 Tour de France. Una storia pazzesca, conclusa nel peggiore dei modi. La sua storia è magnifica, fino ad un certo punto, però. Poi c’è l’inganno. Il Grande Inganno. Alla fine sarà sbugiardato: da livestrong a liestrong. Qualche giorno fa Filippo Simeoni, il grande testimone, che chiamò in causa nel suo processo di doping il medico Michele Ferrari e per questo finì nel mirino del texano al Tour, ha rivelato che nel dicembre del 2013 Armstrong lo ha incontrato a Roma e gli ha chiesto scusa. In quell’occasione, Lance ha ammesso di aver sbagliato tutto, di aver esagerato, di essersi comportato come il peggior gangster del gruppo. Filippo si è liberato di un peso, in questi anni ha ritrovato la pace, anche se si è allontanato ancora di più dal nostro mondo. E con assoluta nobiltà d’animo ha anche chiesto di voltare pagina. Se fosse per lui, Armstrong sarebbe da riabilitare, perché ha pagato un conto salatissimo con la giustizia. «Anche lui ha diritto ad una seconda chance...», mi ha raccontato. È un pensiero nobile, più che apprezzabile, che gli fa solamente onore. Lui è per concedergli una seconda chance, per quanto mi riguarda vale quello che ho scritto prima.
Editoriale da tuttoBICI di giugno