Più di 150 ragazze tesserate, provenienti da tutto il mondo, e oltre 200 vittorie collezionate in vent'anni di attività agonistica al massimo livello. Tra gli allori più prestigiosi, diversi titoli iridati e continentali, maglie azzurre e tricolori in gran quantità, con il fiore all'occhiello costituito dal Tour de France femminile conquistato nel 2002 dalla compianta fuoriclasse bielorussa Zinaida Stahurskaja. E' il fantastico palmares di Franco Chirio, 68 anni, l'imprenditore dolciario di Montechiaro d'Asti che a pieno titolo è considerato uno dei padri del ciclismo femminile a livello internazionale.
Chirio, perchè si è avvicinato al ciclismo femminile anzichè a quello maschile?
«Perchè negli anni Novanta le mie figlie Marina e Alessia hanno deciso di correre in bicicletta e io ho voluto seguire da vicino il loro percorso agonistico. Soprattutto Marina ha ottenuto ottimi risultati, poi quando loro hanno smesso io ho continuato con le altre ragazze, che nel frattempo mi avevano già regalato tante soddisfazioni».
Quali sono state le campionesse più titolate che hanno vestito i colori della sua squadra?
«L'elenco sarebbe troppo lungo, per questo mi limiterò a ricordare solo le più grandi: Giorgia Bronzini, Vera Carrara, Alessandra Cappellotto, la bielorussa Zinaida Stahurskaja, la russa Zoulfia Zabirova, l'australiana Katherine Watt. Merita di essere citata, non foss'altro per la fedeltà ai nostri colori, anche la brasiliana Clemida Fernandes, che quando correva con noi ha vinto i Giochi Panamericani, numerosi titoli nazionali ed ha partecipato a tre edizioni delle Olimpiadi».
Tra le tante vittorie ottenute dalle sue ragazze, quale le ha procurato la soddisfazione più grande?
«Sono state due: il successo della Stahurskaja nel Tour de France 2002 e la vittoria della Bronzini nel campionato del mondo del 2011 a Copenaghen. Ero proprio sulla linea d'arrivo, è stata un'emozione indescrivibile».
E la più grande amarezza?
«In quel fantastico 2002 ai mondiali di Zolder avevamo già vinto il titolo a cronometro con la Zabirova e stavamo per fare il bis nella prova su strada con la Stahurskaja. Ma nella volata finale Zinaida cadde a 50 metri dall'arrivo mentre era al comando».
C'è un aneddoto che ricorda volentieri?
«Si, e riguarda la Bronzini, che dopo la conquista del titolo iridato del 2011 cambiò casacca perchè nel nuovo team avrebbe guadagnato più di quanto potevo offrirle io. Ma nel 2012, con i nuovi colori, non aveva ancora vinto neppure una volta. In agosto la chiedemmo in prestito per disputare con la Chirio-Forno d'Asolo il Trophèe d'Or, in Francia. E con la nostra maglia si sbloccò: su quattro tappe ottenne tre vittorie e un 2° posto. Perchè io sapevo come prenderla e non le mettevo pressione».
E adesso com'è la situazione?
«E' abbastanza confusa a causa del coronavirus che di fatto ha bloccato tutta l'attività agonistica, sulla cui ripresa c'è ancora molta incertezza. Pandemia a parte, per la mia squadra la situazione è meno rosea da quando nel 2014 la nuova dirigenza della Forno d'Asolo non ha rinnovato la sponsorizzazione. Nel 2018, poi, è mancato un altro grande amico del nostro team, Tarcisio Persegona, un personaggio unico che ha lasciato un grande vuoto in tutto l'ambiente del ciclismo. Ma io non mollo e nutro concrete speranze di poter ricostituire al più presto una squadra degna del suo glorioso passato».
da La Stampa - edizione di Asti
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