Anche se nella massima categoria ha disputato solo tre corse nell'autunno del 1963, Italo Sbroggiò resta l'ultimo corridore astigiano che ha gareggiato tra i professionisti. In realtà Italo nacque nel 1942 in Libia, dove i suoi genitori si erano trasferiti, come coloni, nel 1939 dalla provincia di Venezia. Ma nel 1952 la famigliola rientrò in Italia e si stabilì a Pratomorone, dove da qualche anno viveva il fratello maggiore Guelfo, che lavorava come mezzadro in una cascina del posto. Oggi Sbroggiò, alla soglia dei 78 anni, vive con la moglie Mirca a San Damiano, dove con il secondo dei suoi tre figli, Lucio (gli altri due si chiamano Massimo e Tatiana) gestisce un deposito di acque minerali al centro del paese.
Italo, come nacque la sua passione per il ciclismo?
"Quando avevo 17 anni mi venne proposto di fare una scampagnata in bici fino al Santuario di Oropa. Ma io non avevo neanche la bicicletta e dovetti farmela prestare da un amico. Eravamo un bel gruppetto e ci siamo divertiti, ma al ritorno, nei pressi di Portacomaro, si è messo a piovere e allora li ho staccati tutti per cercare di arrivare a casa più presto che potevo. Fu allora che gli amici mi convinsero a correre. Il problema era che io non avevo i soldi per comprare la bicicletta. Me li prestò il signor Sabbione, il mio datore di lavoro".
In quali squadre ha gareggiato?
"Ho debuttato tra gli Allievi nel '60 con il Velo Club Torretta, sotto la guida di Felice Pessino, un grande appassionato che nella vita di tutti i giorni faceva il barbiere. Poi sono passato all'Eurofren Gianotti di San Marzanotto. Due società che per me erano come una famiglia".
Ha vinto molte gare?
"Non molte, solo dieci, quattro tra gli Allievi e sei fra i dilettanti, perchè arrivavo spesso con i primi ma non ero veloce. Per vincere dovevo staccarli proprio tutti e non era facile".
Ne ricorda qualcuna in particolare?
"Tra gli Allievi noi della Torretta abbiamo vinto a Vercelli la Coppa Adriana a cronometro a squadre. Con me c'erano Ollino, Gallo e Ferrero. Tra i dilettanti la corsa più bella che ho vinto è il G.P. Cantine Sociali del '62 a Tonco, che all'epoca era una gara molto importante. Vinsi dopo una fuga solitaria di circa 60 chilometri, davanti ai più forti dilettanti non solo piemontesi. Secondo si classificò il canavesano Silvio Boni, che nel '64 passò professionista nella Legnano, ma tra i primi dieci arrivarono altri big della categoria come il torinese Bruno Giorza, il biellese Danilo Ferrari, l'ex-campione italiano Bruno Milesi e il bergamasco Giacomo Arrigoni. Sì, quel giorno sono andato veramente forte".
Poi, nel '63, la sua breve parentesi professionistica. Come andò?
"Grazie all'interessamento di Giorgio Zancanaro a fine stagione debuttai con i colori della Firte. Ma disputai solo tre gare e in una di queste, la Coppa Agostoni, sono andato in fuga con il biellese Drago e con lo spagnolo Alomar. Avevamo ancora un bel vantaggio e già pregustavo come minimo il terzo posto quando nel finale dall'ammiraglia della squadra mi hanno ordinato di rallentare per aspettare Zancanaro che stava rinvenendo".
Morale?
"Alomar ha vinto, Zancanaro non è arrivato neanche tra i primi 10 e io ho fatto in fretta a capire che quello dei professionisti non era il mio ambiente. Oltretutto a fine anno la squadra ha chiuso l'attività ed io ho attaccato la bicicletta al chiodo senza troppi rimpianti. Anche se il ciclismo resta una parentesi importante della mia gioventù".
da La Stampa - edizione di Asti
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