Quello che colpisce o perlomeno lascia straniti è la dicotomia tra la dirigenza di Rcs Sport e la Gazzetta dello Sport che fino a prova contraria dovrebbe essere il giornale di riferimento. Da una parte parole lievi e di moderata soddisfazione, visto il momento e un calendario di nove mesi stipato in tre.
Da una parte ci sono le parole di Paolo Bellino, direttore generale e amministrazione delegato di Rcs Sport: «Fondamentale aver difeso il Giro — ha dichiarato ieri sulle colonne della Gazzetta -. Abbiamo le date, abbiamo un calendario. È una prima ripartenza. È accettabile? È il miglior calendario? No, avevamo fatto una serie di proposte alternative che avrebbero limitato alcune sovrapposizioni, ma non sono state recepite». Quindi, perché agitarsi tanto? Hanno chiesto, non hanno ottenuto, ma a loro va bene anche così, in attesa di trovare probabilmente qualche aggiustamento.
Poi c’è la posizione del giornale rosa, duro e intransigente. Ieri è stato durissimo, contro il sistema ciclismo, contro Lappartient in particolare. «Ci dispiace, monsieur David Lappartient, ma lei deve delle scuse al Giro d’Italia, alla storia del ciclismo e a milioni di tifosi che non capiranno mai la logica di certe scelte al confine del masochismo – scrive il vice direttore della Gazzetta Pier Bergonzi, che il ciclismo da sempre lo ama, e come pochi lo conosce -. Ma come è possibile mettere in calendario la Parigi-Roubaix e la sesta tappa della Vuelta nello stesso giorno in cui il Giro assegnerà la maglia rosa davanti al Duomo di Milano? La decisione è così stonata da non sembrare vera».
Da un lato parole di conciliazione e presa di coscienza della cosa, dall’altra una levata di scudi dura e decisa come non mai. Oggi idem come ieri. «Il ciclismo italiano sta all’Uci come l’Italia sta all’Europa. Cambia solo chi comanda, la Francia al posto della Germania, ma non la nostra posizione – spiega senza tanti giri di parole Mario Cipollini, campione del mondo a Zolder 2002 e detentore del record di successi di tappa al Giro: 42 -. Però, premesso che era una situazione molto complicata e con poche via d’uscita, ci voleva più rispetto per il Giro. Vederlo sovrapposto alle grandi classiche e alla Vuelta fa male e significa che del Giro interessa nulla. Ma queste sovrapposizioni sono una mancanza di rispetto anche per le altre corse. Poi per capire bene i rapporti di forza pensate che hanno rinviato i Giochi: eppure qui tutto ruota attorno al Tour. Vuole dire che l’Aso è più forte del Cio. In Italia servirebbe gente che abbia davvero voglia di sacrificarsi per il bene del nostro sport, non per interesse personale. Di Rocco invece è un politico romano che vive nel suo mondo».
E non è meno leggero Moreno Argentin, che per la seconda volta in dieci giorni fa nero il giornale rosa: «Per far stare dentro tutti c’era poco tempo, tre mesi e briciole sempre che tutto vada bene - dice l’ex iridato di Colorado Springs 1986 -. Poi è chiaro che l’Uci è stata di parte: ha favorito i francesi. Del resto il Tour si corre in Francia, l’Aso è francese ed è francese pure il presidente mondiale. L’Italia, nonostante Di Rocco sia un buon dirigente e non un brocco, s’è trovata in una situazione da comprimaria. Ma perché? Qual è la genia di questa situazione? Già trent’anni fa come Lega ciclistica avevamo proposto a Castellano, allora a capo dell’organizzazione del Giro, un progetto per non fare morire la storia del nostro movimento. Lettera morta, non è stato fatto nulla, né allora né poi, per l’ingordigia del maggior organizzatore italiano. Tutti insieme avremmo fatto massa e avremmo contato di più di Rcs Sport da sola, che ora porta casa quello che ha seminato. Ora Rcs Sport è controvento, e il vento è forte. Visti i rapporti di forza che ci sono nel mondo del ciclismo, per me questo calendario non è scandaloso. Spero sola che serva da lezione per capire come stanno realmente le cose».
Parole chiare, anche se forse prima di parlare in sede mondiale, ci si dovrebbe chiarire in casa propria. Con serenità e dolcezza.