La reclusione è dura per tutti, per un ciclista professionista è una tortura. Quando sei abituato a passare 200 giorni all’anno saltellando fra le latitudini le stanze di casa si diventano piccole piccole, come nella lente di un binocolo a rovescio. E’ così anche per Gianluca Brambilla. Il trentaduenne della Trek Segafredo ha la bici in lockdown, l’intervista telefonica arriva nel mezzo della rituale camminata pomeridiana. Guanti e mascherina, in rigorosa prossimità di casa.
«Come vuoi che vada, speriamo che arrivi presto il momento della libertà, magari anche prima di quando hanno detto, sennò qui si impazzisce – si sfoga Brambilla -. Avevo preparato il 2020 lavorando sodo tutto l’inverno, avevo programmato con scrupolo ogni seduta di allenamento e ogni corsa per arrivare al massimo della forma al Giro d’Italia e dare una grossa mano a Vincenzo Nibali. Invece eccoci qui, a pedalare sui rulli a molti mesi da quella che sarà la prima competizione, sapendo che le poche certezze di oggi forse non saranno quelle della prossima settimana, o di domani. Questa per me è una stagione molto importante perché a fine anno sarò in scadenza di contratto. Volevo mettermi in vista per garantirmi un bell’ingaggio anche nel 2021, ora per i corridori nella mia condizione diventa tutto più difficile. Comunque cercherò di farmi trovare pronto per quel che rimane del calendario agonistico».
E’ dura allenarsi sui rulli?
«Tanto dura. Io li faccio due volte al giorno, uso sia il ciclomulino fisso, sia i rulli tradizionali a cinghia, ma confesso che ci sono giorni in cui devo farmi violenza per salirci sopra. La mia principale motivazione è proprio il pensiero che questa stagione, o quel che ne rimane, da parte mia non ammette errori. Adesso si sta facendo grande ricorso ai simulatori interattivi. Io a volte lo uso, ma non sono un fanatico: mi sembra di pedalare in un videogioco, e poi dopo un po’ mi fanno male gli occhi. E comunque mancano ancora sedici settimane all’ipotetico rientro alle corse, non mi pare il caso di ammazzarsi di fatica sui rulli. Mi piace alternare le pedalate con esercizi a corpo libero e utilizzando anche attrezzatura… non convenzionale. Dato che qui in casa non ho un bilanciere sto facendo lo squat indossando uno zaino che ho riempito di pesi, l’effetto è più o meno lo stesso».
Per te il 2020 è come non fosse neppure iniziato…
«Infatti. Ho debuttato all’Uae Tour, interrotto a metà per il Coronavirus. Le poche tappe disputate erano piatte, e con un gran caldo. Praticamente un test nullo o quasi».
Ci sono squadre che hanno subito messo mano agli stipendi dei corridori, che aria tira da voi?
«Per fortuna alla Trek Segafredo non è stato paventato nulla di simile, i due sponsor principali sono aziende molto solide. Deve far riflettere che altri team World Tour solo tre settimane dopo l’ultima corsa abbiano tagliato gli stipendi. E’ l’ennesima dimostrazione che i corridori, pur essendo gli attori principali del ciclismo, sono in realtà l’anello debole».
Tour a settembre, Giro a ottobre: come cambia il suo programma alla luce delle ultime novità?
«Mi piacerebbe saperlo. Quando il quadro generale sarà definito un po’ meglio riprogrammeremo tutta l’attività della squadra».
Come uscirà il ciclismo da tutto questo?
«Certamente impoverito perché verranno meno dei finanziamenti, ma altri ne potrebbero arrivare. Ci sono settori, ad esempio l’alimentare, che in questo periodo non stanno certamente soffrendo».
Un lato positivo di questo brutto periodo?
«La famiglia. Era da anni che non stavamo assieme per così tanto tempo, per noi corridori è una dimensione nuova. A proposito, meglio che torni, fra una risposta e l’altra stavo per superare il mio limite di prossimità».
da Il Giornale di Vicenza