Bruno Giannelli: lo corteggiai perché mi raccontasse la sua storia finché un giorno, stremato, cedette alla mia insistenza. Ne scrissi per “I diavoli di Bartali”. Ma molto di inedito e dimenticato era rimasto sui miei appunti.
LA BICI “Il mio inizio fu da denuncia. Perché la mia prima bici era una di quelle rubate e riverniciate, da azzurra a verdolina tipo Legnano, matricola limata, manubrio da passeggio, fascioni invece dei tubolari, senza parafanghi per alleggerirla, freni a filo, un solo rapporto. Era il 1946 e gareggiavo da libero, competizioni aperte a tutti, 50-60 chilometri. Indossavo una camiciola di lana grigio chiara, tipo maglia della salute, fatta in casa, con il baverino e i manichini bordati di verde. Sette corse con cinque primi posti, un secondo e un ritiro”.
L’ALLENAMENTO “Si abitava a Barbacane, una borgatina di sette-otto case a Firenze. Genitori contadini, lì il podere, non lontano dai Moccoli, la salita dove Bartali si rivelò. E lì Bartali aveva gli amici. Ci si trovava alle Cascine: chi prendeva una direzione, chi un’altra, di solito si seguiva Bartali verso il Mugello o verso il Chianti, uscite di almeno 120 chilometri, Bartali anche il doppio, e ci si allenava tanto”.
I PREMI “Dilettante, i premi erano in soldi oppure in natura: una volta un orologio, un’altra volta una giacca. In Umbria si andava a correre pagati in contanti: in più offrivano vitto, alloggio e treno”.
L’INGAGGIO “Un giorno di luglio del 1949 Bartali venne nel rione di Gavinana e disse: si va a Siena, andata sulla Cassia, ritorno per il Chianti. Appuntamento a casa sua alle 14, pronti e via. In cima a Ospedaluzzo Bartali scattò e prese subito una decina di metri. Non ti avvilire – ci rincuorava – io sono il Bartali. Ma mi difesi bene e conquistai un posto in squadra, la sua squadra, la Bartali, con biciclette dei Fratelli Santamaria di Novi Ligure”.
L’ACQUA “Così nel 1950 diventai professionista. Il mio compito era stare il più vicino possibile a Bartali, fermarmi solo se forava e, quanto all’acqua, se gliela portavi, la prendeva volentieri, ma non ce la chiedeva. Noi si prendeva l’acqua per berla, lui per versarsela in testa e sui piedi. La prima volta c’ero rimasto malissimo: avevo fatto una fatica terribile per prendere l’acqua e portargliela in cima al gruppo, e lui se la versò sui piedi. Ma Bartali era fatto così: quando faceva un caldo bestiale e l’asfalto luccicava e noi morivamo di sete, lui mangiava il panino”.
LA MAGLIA “Milano-Sanremo 1951, alla partenza lungo il Naviglio faceva freddo, si partì con due maglie, ma arrivati in Riviera faceva caldo, Bartali si levò una maglia e me la consegnò, io la dovevo dare all’ammiraglia, ma si andava così forte che me la misi davanti e la portai fino all’arrivo. La maglia era gialla, di lana, alla fine del Giro d’Italia la taglia si era ristretta da grande a piccola, così infeltrita che la mattina era dura vertirsi”.
IL TUBOLARE “Con Santamaria non si buttava via nulla. Quando si forava, si doveva togliere il tubolare staccando il mastice dal cerchione e riportare il tubolare forato all’ammiraglia o all’arrivo perché lo avrebbero riparato e usato di nuovo. Per staccare il mastice, spesso ci si sporcava la maglia, e spesso sulla maglia rimaneva una macchina. Quando capirono che non era più conveniente sporcare la maglia per un tubolare, finalmente ci dettero il permesso di buttare via il tubolare”.
LA FORUNCOLOSI “La foruncolosi ci portava via. Tra sella e mutandine si mettevano i bruscolini. E si pedalava tutti scomposti con la speranza di non sentire male. Se faceva freddo tu pisciavi addosso, quando pioveva era un sollievo”.
I PASSAGGI A LIVELLO “La disperazione dei casellanti ai passaggi a livell. Fermi fermi fermi, imploravano. Ma tutti che passavano e, passando, si sbrecciavano le maglie”.
A TAVOLA “Mario Dalla Torre, il patron della Legnano e poi della Bartali, si lamentava: in corsa siete gli ultimi, a tavola sempre i primi. E Baroni, per difendersi almeno dall’accusa della tavola giustificando la fame, gli rispondeva: ma noi ci si ha vent’anni”.
IN ALBERGO “Il primo ad arrivare in albergo era Bartali, in macchina. Noi, in bici, dovevamo trovare uno scugnizzo per farci indicare la strada. Quando arrivavamo, Bartali si stava facendo bagno e massaggio con Natalino Fossati, un ligure. L’unico inconveniente per il bagno ci capitò a Campobasso, la tappa da L’Aquila, al Giro d’Italia 1950. Non c’era acqua. Ci spiegarono: quest’anno non è nevicato. Ci si lavò con un recipiente sotto i piedi per toglierci almeno l’arena e la polvere addosso”.
COPPI “Bartali e Coppi, si diceva che andassero d’accordo, ma poche volte li sentii dirsi buongiorno, soprattutto la mattina, con il nervosismo della partenza. Io, Coppi, l’ho bazzicato poco, ma quando gli chiedevo, senza farmi vedere da Bartali, foto per gli sportivi del rione, lui era bravo e me le dava”.
GESTRI “Mario Gestri, detto Gestrone, perché era uno di quelli che al Giro d’Italia finalmente aveva da mangiare, e mangiava e ingrassava. Aveva una faccia curiosa, assomigliava a Fernandel, ed era diventato la vittima di Luigi Casola”.
GLI AMICI “Si rimase tutti amici, io soprattutto con Mario Baroni. Si pedalava insieme anche da amatori. Una mattina d’estate si partì alle sei per fare sessanta-settanta chilometri, verso le nove eravamo nel Chianti, sulla salita di Sugame, in discesa si trovò una macchina che veniva contromano, io la scansai, lui la prese in pieno e morì sul colpo. Era il 1° agosto 1994. Mario era un monumento. Aveva una forza impressionante: le noci le schiacciava con le dita”.
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