Per anni è stato il delfino di Vincenzo Torriani, il patron del Giro per eccellenza, l’uomo dalle grandi intuizioni, dalla visione visionaria e planetaria. Carmine Castellano - avvocato come un altro grande della “corsa rosa”, Giuseppe Ambrosini -, classe 1937, una vita trascorsa al fianco del patron, prima di assumere la guida del Giro dall’89 al 2005. È con lui, con questa figura di riferimento che proseguiamo il nostro viaggio verso un Giro della Rinascita, un’idea nata sulle colonne de “Il Giornale”, e che ha trovato l’immediato appoggio del Ct azzurro Davide Cassani e dell’ex iridato nonché presidente del sindacato dei corridori mondiali Gianni Bugno.
Castellano, il Giro può essere davvero il simbolo della rinascita di un Paese e di tutto lo sport nazionale?
«Lo è stato al termine dei due conflitti mondiali e può tornare ad esserlo. Nel ’19 con Girardengo e Binda, nel ’46 con la svolta forse più epocale del nostro sport, grazie ad una serie di campioni che hanno segnato profondamente la storia del ciclismo, ad incominciare da Coppi e Bartali. Il Giro ha quindi tutto per unificare ancora di più un Paese ferito e tormentato da questa emergenza sanitaria. Non è solo un modo di dire o un semplice esercizio retorico, ma il ciclismo è sì sport di fatica e sacrificio, e mai come in questo momento dobbiamo aggrapparci a questi valori, anche se non dobbiamo solo mettere in moto una “macchina” per non perdere una cadenza annuale».
A cosa si riferisce?
«Al fatto che sarebbe bellissimo poter organizzare un grande Giro d’Italia con un’idea forte, con un percorso che vada a valorizzare anche a livello simbolico quello che noi italiani abbiamo passato e purtroppo dovremmo ancora passare. Non si può non pensare a Codogno, a Bergamo, a Brescia. Gli organizzatori di Rcs Sport, che sono i miei ex colleghi e ai quali invio i miei più sincero abbraccio, devono fare in modo che questa idea sia condivisa con le massime autorità dello Stato. Il Giro della rinascita non può semplicemente ripartire, ma va almeno in parte rivista, rimodellata una narrazione che nel frattempo è totalmente cambiata. E qui sta la vera difficoltà, la vera sfida».
Qual è ad oggi il suo sentiment?
«Temo che non ci siano i tempi. La macchina organizzativa la conosco ed è tutt’altro che semplice. Ripeto, sarebbe un errore organizzare così tanto per farlo. Per mandare in scena comunque l’edizione numero 103. Ci vuole un pensiero forte e una bella realizzazione. Io continuo a pensare che il Giro è la festa di maggio, e da lì fatico sinceramente a muovermi».
Non ci sembra molto ottimista.
«Difatti non lo sono».
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.