Una delle battute migliori di quest’anno l’ho sentita lo scorso ottobre, al Giro di Lombardia: il solerte telecronista di Stato, con voce convinta e compiaciuta, sosteneva che “quella di Nibali è un’altra annata eccellente” (o aggettivo equivalente, mi scuso se non ricordo alla lettera). Comunque rimarcava enfatico come Nibali ci abbia regalato ancora una stagione con i fiocchi. Buona questa, molto buona. Come tutte le battute migliori, era una frase seria.
Magari mi sbaglio, ma il primo a non avere nessuna voglia d’essere d’accordo col violinista parastatale è proprio Nibali. Uno come lui, campione che chiede sempre più e sempre meglio a se stesso, non può essere felice del suo 2019. Se lo è, confesso di non conoscerlo abbastanza. O di non riconoscerlo più. Se ne può parlare? Serenamente, lealmente, spassionatamente, senza i timori servili di bestemmiare in chiesa?
Ricordo troppo bene le grandi stagioni di Nibali, tutte le sue vittorie e anche tante sfortunate musate, per considerare anche solo accettabile il suo 2019. Per me, senza farla tanto lunga, è una stagione-no. Punto. I coristi adulatori si aggrappano al secondo posto del Giro, soprattutto, ma proprio quello a me sembra il fallimento più cocente. Non tanto perché abbia perso, ma per come l’ha perso. Per come l’ha buttato via, con la sesquipedale asinata di Courmayeur, quando per giocare ai dispetti con Roglic si lasciò infinocchiare la seconda volta consecutiva (il giorno prima, almeno, era una sorpresa) dall’astuto Carapaz. Uno come lui, un campione come Nibali, quel giorno inseguiva a morte e riprendeva Carapaz (era arrivato a 20’’, pro-memoria), o quanto meno limitava il distacco nei termini buoni per vincere alla fine.
Inutile rivangare, si dice. Ma sinceramente questo mi sembra proprio il caso di rivangare: a maggio, Nibali ha sciupato scioccamente l’opportunità storica di rimpolpare alla grande il suo curriculum, aggiungendoci la perla di un Giro come più anziano vincitore di sempre. Non una cosa da ridere. Invece. Invece tutto s’è fermato lì. Già odo in lontananza il fracasso dei coristi adulatori, che berciano perché quel rimbambito del Gatti s’è scordata la vittoria del Tour. Avviso questi signori: sono rimbambito, ma non l’ho scordata. Per carità di patria, per la grande considerazione che ho di Nibali, l’ho velocemente rimossa. Un Nibali fuori classifica che vince la tappa farsa, brutalmente tagliata, per me non esiste, in un curriculum come il suo.
Abbiamo già finito. La grande stagione di Nibali, il nostro numero uno, è tutta qui. E siccome sprecare parole annoia chi le spreca e chi le ascolta, meglio chiuderla qui. Tra quelle che ricordo io, quella del 2019 è anzi la peggiore, comunque tra le peggiori.
Caso mai, conviene prenderci un po’ di tempo per capire le cause, se cause ci sono. Certo l’età, nessuno può negarlo. Prima o poi dovremo farcene una ragione, davanti al deserto che rimarrà: Nibali non è eterno, per quanto abbia durata e resistenza da prima repubblica, inevitabilmente calerà. Ha già cominciato quest’anno? Lo scopriremo presto, dopo le ferie invernali. Intanto mi preme rimarcare che nel 2019, più ancora degli eventuali guasti dell’età, sicuramente hanno pesato le condizioni ambientali. E non intendo per una volta il surriscaldamento climatico. Parlo del divorzio - prima di fatto, quindi dichiarato - con la squadra delle ultime stagioni. Per quanto professionale lui, per quanto professionale il team, Nibali ha chiaramente dimostrato di non essere sereno e tranquillo. Già il polverone sollevato dall’inchiesta doping tedesco-austro-slovena, che ha investito alcuni vertici e alcuni compagni del team, non è servito a rendere il clima euforico. Quindi, i problemi contrattuali. Fortunatamente, alla fine è arrivata la firma con la Trek-Segafredo, che comunque come effetto immediato ha proposto nella seconda parte della stagione un Nibali in uscita, precario, con le valigie sul pianerottolo e la testa svagata nel futuro altrove.
È tutto a posto, adesso. Nibali viaggia verso nuovi stimoli e nuovi sogni, soprattutto il sogno di un’ultima età alla grande. Non una sfida leggera. Ma ha indubbiamente una grande fortuna: nonostante quello che dicono i telecronisti di Stato, basterà poco per fare meglio del 2019. Aspettando gli ordini d’arrivo, sicuramente il 2020 e il 2021 serviranno quanto meno a chiarire un dubbio: se la lotteria l’abbia vinta la Trek, o se invece non l’abbia vinta proprio Nibali, centrando - questo sì - il colpo migliore del 2019.
da tuttoBICI di novembre
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