Coppi? Dovunque. In un nome, Fausto, con cui sono stati battezzati i bambini di una generazione, o in un cognome, così pesante da accompagnare, nel diminutivo Coppino, gli eventuali eredi. In un gregario, devoto, dedito, dedicato, o in un avversario, superato, piazzato, battuto. In un tornante, il tredicesimo dell’Abetone, dove decollò nel Giro d’Italia 1940 e poi per sempre, o in un traguardo, dei 151 stradali raggiunti prima di tutti gli altri. Sulla strada, appunto, o in pista, in un tipo-pista. In una classica o in un circuito, una kermesse. In un’americana o in un omnium, in una seigiorni o in un grande giro di tre settimane. In una salita o in quelle cinque salite che lo consacrarono da Cuneo a Pinerolo. In una firma o in una foto, in un ordine d’arrivo o in una classifica generale, in un albo d’oro o in una cartolina, in una pubblicità o in un titolo, in un libro o in un fumetto, in un ricordo o in una visione. In una maglia biancoceleste o tricolore o arcobaleno o azzurra.
Coppi? Dovunque. Stavolta a teatro. Coppi recitato e suonato, Coppi raccontato e musicato, Coppi narrato e accompagnato. Voce e organetto. Voce, la mia, un po’ da cronista e un po’ da storico, e l’organetto di Alessandro D’Alessandro, che sembra raccogliere l’atmosfera della casa contadina di Castellania, il primo domicilio conosciuto, fino a quella dell’ospedale civile di Tortona, l’ultimo domicilio conosciuto, ma anche tradurre gli odori e i profumi dell’ultima avventura, quella in Africa, quella della malaria. “Coppi ultimo”, dal titolo del libro pubblicato dalla 66thand2nd: l’ultimo anno del Campionissimo, in un’altalena di eventi, in una giostra di appuntamenti, come se non potesse, non volesse, forse addirittura non dovesse rinunciare a nulla, né a una mineraria Parigi-Roubaix, né a una inedita Vuelta, né a un’ignota Irlanda.
E’ il Coppi più stanco e umano, più amato e più vulnerabile, più internazionale e più solo. E’ il Coppi diviso: fra due famiglie, due mogli, due figli, due squadre, quella del 1959, la Tricofilina, e già quella del 1960, la San Pellegrino. E’ il Coppi moltiplicato: si fa in due, si fa in quattro, non più solo corridore ma anche manager, industriale, punto di riferimento del ciclismo mondiale, comunque all’avanguardia, una ventina d’anni davanti al gruppo. E’ il Coppi che ritorna fra di noi, a cento anni dalla nascita e a quasi sessanta dalla morte. E’ il Coppi bicicletta, il Coppi ciclismo, il Coppi Italia, il Coppi storia.
La prima al Teatro Bibiena di Mantova per il Festival della letteratura, “Coppi ultimo” torna in scena stasera, alle 21, a Roma, al Teatro le Sedie di Labaro, via Veientana Vetere 51, a cura di Ti con Zero e della Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza, nell’ambito del progetto “Alla fine della città – narrazioni, viandanze e immagini nelle periferie”. Ingresso libero.
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