Si alzano sui pedali, tolgono un dente, limano, suonano a morto, mettono il piede a terra, menano, sverniciano, succhiano le ruote, mulinano, volano. Fanno la vita, fanno ruotino, fanno l’andatura, fanno la corsa, fanno l’elastico, fanno lo scatto del morto, fanno il trenino, fanno il lungo, fanno il vuoto. Fino alla volata, fino al processo alla pappa, fino ai massaggi.
Il ciclismo ha la sua lingua, il suo gergo, il suo slang. Come il calcio (catenaccio, melina, sciabolata…), meno della vela (abbisciare, addugliare, cazzare…), più del rugby (terzo tempo, francesina, cucchiaio di legno…). Sicuri di conoscere il significato di assalsicciata, serpentata, trombatura, spiaggiamento, sistolata, fucilata, randellata, picchiata, sbrindellio, frullata, frustata? Sapete che fagianata è “un’azione di pura classe: il corridore che attacca in questo modo fa finta di niente, proprio come il fagiano che va via di pedina, e non parte in un vero e proprio scatto ma allunga, prendendo inizialmente cinque o dieci metri di vantaggio, che poi diventano presto vento, poi trenta”?
Come in una fuga a due, come in una cronocoppie, come in un Baracchi, Riccardo Magrini e Luca Gregorio hanno composto “Fagianate, scatti e scie” (Rizzoli, 238 pagine, 18 euro, con superprefazione di Paolo Condò), ufficialmente un dizionario sentimentale del ciclismo, ufficiosamente un bestiario del lessico a due ruote, un po’ ciclistese e un po’ magrinico, nel senso di quell’idioma tecnico e familiare, spregiudicato e liberatorio, sacro e dissacrante, adottato dai due commentatori di Eurosport. Così questo calepino è uno strumento prezioso per non trovarsi impreparati o disorientati quando i due stabiliscono che il gruppo è “appallato” o un corridore mette “il padellone”, quando invocano il “Garibaldi” o citano il “Pinocchio d’oro”, quando sentenziano di un “paracarro” o sospettano di un “filo di gas”.
Come perfino Beghetto e Bianchetto, la più celebre delle coppie del ciclismo (tandem, Olimpiadi di Roma 1960, oro: solo per dirne una), si spartivano i compiti, anche Magrini e Gregorio uniscono e sfruttano diverse caratteristiche. Magrini è il creativo, Gregorio il compilativo. Magrini è il comico, Gregorio la spalla. Magrini è lo sprinter, Gregorio il pesce-pilota. Magrini, il cui unico diminutivo di un’esistenza esagerata sta proprio nel cognome, era “Jerry Lewis” da corridore (un po’ per la somiglianza con l’attore, un po’ per l’abilità nelle imitazioni), è stato direttore sportivo (anche di Marco Pantani), ma si è rivelato impareggiabile da commentatore: inesauribile nel recuperare episodi, sparare battute, improvvisare sketch soprattutto quando, in quelle interminabili dirette dal foglio-firma fino alle miss, la corsa si addormenta. Ed è lì che con elegante disinvoltura e imprevista leggerezza “il Magro” passa dallo “sbagarrare” allo “scapoiare”, dal “veglione del tritello” al “bagnomaria”, dalla “trombatura” fino al “pompino”. Un ascolto che diventa lettura, allegra, ideale, da “bordo strada” o da “mangia e bevi”, “a zig-zag” o “a blocco”.