Un giornale grande in tutti i sensi, dal formato, gigante almeno per i periodici, al coraggio delle sue idee e tesi e inchieste (è toscano, anarchico, divertente, si intitola Il Grande Vetro, ci collaboro da tempo pagato con bottiglie, poche ma buone, di vino rosso), ha dedicato il suo ultimo numero alla bicicletta, al ciclismo. Ogni pagina reca in alto, tipo supertestata, verso dopo verso come un plotone di corridori che si snoda, le parole di “Bartali”, immensa canzone di Paolo Conte. Gino il pio si infuriò con me che, spinto da Bruno Lauzi amico e cantante, gli avevo mandato la cassetta in anteprima: “Mi usano per dire parolacce!”, aveva protestato, riferendosi - credo - ai francesi che s’incazzano e le balle ancor gli girano.
Un grande giornalista di ciclismo, anche, Gianni Mura, persino mio amico, chiude la serie degli interventi, con il Bartali pedalatore della Resistenza: uno scritto completo, magistrale, devoto e intanto preciso (l’Insieme della vasta pubblicazione è ovviamente toscobartaliano, ma ogni tema è trattato con competenza ed onestà). Un piccolo giornalista innamorato, certo Gian Paolo Ormezzano, apre la serie stessa, con un paginone intitolato “Bellezza e bicicletta” pieno di sue frasi d’amore globale travestite da accertamento, fra l’altro, di uno stato di buona salute dello sport più rigoglioso nel mondo e meno capito e assurdamente da taluni poco seguito adesso in Italia. Essì, alla prova unica di campionato tricolore il terzo nostro giornale politico ha riservato poche righe a mo’ di cronaca e commento, seppellendo la notizia nel letame del calciomercato e nella melma di presuntuosetti giocosi sport tipicamente estivi.
Con ricordi di stampo assai personale (splendidi quelli di Giulio Rosa), con divagazioni assortite ma condotte sempre con tenerezza e amore, e con fotografie stupende dei più forti e dei più deboli in bici (memorabile l’avventura, scritta da Gianmarco Lotti, di un Van der Velde olandese nel gelo e sulla neve del Gavia, anno 1988), il periodico rischia provvisoriamente ma felicemente di evolversi in bibbia, in vangelo, in vademecum sacro, in prontuario per la memoria, in breviario di culto, in salmo di adorazione per le due ruote e i loro adepti. C’è persino una colonna dedicata tutta ai diritti delle automobili, ci mancherebbe.
Ma perché ne parlo, rischiando fra l’altro l’accusa di autopubblicità, di selfiecompiacimento, di narcisismo? Perché ogni estate mi propone anzi ormai mi impone il lancinante confronto della situazione mediatica cartacea del ciclismo, della bicicletta, in due paesi fratelli o almeno cugini, confinanti e spartenti molte cose comuni, dico l’Italia e la Francia, la Liguria e la Provenza, il Piemonte e la Savoia, cioè i posti in cui divido la mia vita. Anche e specialmente in periodo di Giro d’Italia a Torino vivo il ciclismo in maniera quasi carbonara, telefono a caldo ad amici che so informati tappa dopo tappa, propongo ciclismo ai miei otto nipoti abbastanza fra loro differenti e però tutti abbastanza indifferenti alle vicende della bicicletta, che pure usano con assiduità e quasi devozione.
In Francia “ma petite patrie” stento, specie se c’è il Tour, a non farmi coinvolgere e stravolgere dal ciclismo tutto, compreso quello degli amatori nel weekend sulla loro via Aurelia, quello di qualsiasi monsieur Dupont, che quando sa che ho seguito da giornalista tanti Tour de France, tante Parigi-Roubaix, mi guarda come se fossi un marziano che ha pure vinto tante lotterie. Nizza città chic, sofisticata, cara, snob, Nizza della più bella passeggiata con spiaggia del mondo, Nizza martire del terrorismo ma sempre piena di donne belle che la solcano su auto di fiaba, è già impegnatissima a vivere il Tour de France. Ma quale? Quello del prossimo anno, gli organizzatori hanno già fatto sapere che la città ospiterà le Grand Depart, ancora plus grand che quest’anno Bruxelles con e per Merckx, giorno di presentazione e poi due giorni di gara lungomare e sulle montagne vicine, il portinaio del condominio del mio paesello vacanziero mi ha fatto sapere che se è fortunato l’anno prossimo potrà mettere a totale disposizione degli organizzatori la sua auto e se stesso. Torino che pure è la capitale del Piemonte di Coppi riesce a dire “uffa” in italiano, oltre che in piemontese, quando aspetta l’arrivo di una tappa del Giro con i suoi inconvenienti di traffico. Mentre Milano-Torino e soprattutto Giro del Piemonte sono cose di altro pianeta, per veloci epifanie in periferie urbane lontane e paeselli romiti.
P.S.: sogno qualcuno che mi accusi di bis e anche più, in fondo certe cose le ho già scritte. Gli risponderò che le scriverò ancora. Ma intanto ecco il telefono della redazione de Il Grande Vetro: 3282734956, per chi vuole farsi una grande bouffe di ciclismo.
da tuttoBICI di agosto
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