Quella volta che Fiorenzo Magni gli chiese da bere, lui si fermò a una fontana, ma intanto il gruppo era andato in fuga, allora lui inseguì il gruppo per un’ora prima di riuscire a rientrare, ma intanto Magni era andato in fuga, allora lui inseguì Magni per un’altra ora prima di riuscire a raggiungerlo, e finalmente gli allungò la borraccia, Magni bevve e si lamentò che l’acqua era calda.
Camalò celebra Adolfo Grosso, Dolfo, il suo eroe. Del 1927. Di una famiglia di contadini. Di una passione, la bicicletta. Di un esordio tra i professionisti, nel 1949. E di una vittoria, subito, con Magni, nel Trofeo Baracchi. Si racconta che Magni, alla partenza, gli ordinò di prendere una pastiglia bianca. Grosso ne ignorava provenienza e contenuto, ma da gregario ingerì e digerì. Poi vinsero davanti a due ossi duri come Toni Bevilacqua e Guido De Santi. Altro che doping: la pastiglia era bicarbonato di sodio.
Terzultima tappa del Giro d’Italia 2019: la Treviso-San Martino di Castrozza, 151 chilometri, a undici dal pronti-via si passa per Camalò. Il paese è rosa: palloncini, fiocchi, striscioni, enormi cartelli che inneggiano al Giro e a Grosso. Il gruppo passa davanti alla pizzeria dove Dolfo aveva infornato i suoi guadagni di corridore e i suoi risparmi di padre di famiglia. Dalla moglie ai figli, Ezio che adesso conduce la pizzeria e Daniela che vanta due scudetti nel basket (playmaker, uno da junior, l’altro assoluto, nella Pagnossin di Treviso), dal sindaco all’assessore allo sport, dai parenti agli amici, dalle maestre con gli alunni alle damigiane di vino consapevoli di esaurirsi prima del tramonto. Ieri sera per mangiare e bere tutti insieme, ospiti d’onore Stefano Garzelli e Marco Saligari, Francesco Pancani e Antonello Orlando, oggi per godersi il fulmineo e fulminante passaggio del gruppo.
C’è Leone Grosso, cugino di Dolfo, sette mesi più giovane di Dolfo, 90 anni e mezzo (dopo gli 80, si contano anche i mezzi anni), che si ricorda tutto, tutte le trasferte e tutte le corse, tutte le vittorie e tutti i piazzamenti, e quella volta che partì da Camalò all’una di notte per andare a vedere Dolfo a Cortina, in bici, si attaccò a un camion che trasportava nafta e giunse a destinazione annerito come un minatore. C’è Gildo Zanatta, che il pomeriggio, quando Dolfo tornava dall’allenamento, si dedicava a massaggiare i suoi muscoli, belle gambe, ricorda, caviglie strette e cosce forti, lui era così delicato che Dolfo si addormentava, tant’è vero che la sua professione non era quella di massaggiatore, ma di sarto. Gildo, 86 anni e mezzo, ha la battuta pronta: alla domanda “e lei ha mai corso?”, risponde “sì, ma a ombre”, nel senso del vino.
Camalò suona magico come un complimento greco, un borgo bretone, un alchimista medievale, un velocista giapponese. Il più bel Giro d’Italia, il più autentico e appassionato, il più genuino e affettuoso, il più familiare e resistente, è proprio come quello di Camalò (e di Camalò, chissà quanti altri). Si corre nei meandri della memoria e nel cuore della gente.