Sono felice per Benedetti, nemmeno il caso di dirlo. Benedetti italiani. Ma se vogliamo parlare in generale, al di là e al di sopra dell’ordine d’arrivo, io vedo un autentico trionfatore: Beppe Martinelli.
Il ciclismo è certo uno sport solitario e individuale, ma viene molto meglio se in ammiraglia c’è un tizio dalle idee chiare. Martinelli lo è. Non da oggi, certamente. Ma esserlo ancora dopo tanti anni è un ulteriore titolo di merito: segno che invecchiare non è sempre segno di rimbambimento. Se l’entusiasmo non si spegne, il cervello resta ragazzino.
Lopez ha pagato le cronometro? Pazienza, si prova a rimontare. Alla prima occasione, via con il lavoro. La partenza è pure disgraziata: subito foratura sulla prima vera salita. Altri magari andrebbero nel panico, quanto meno rinvierebbero il piano d’attacco, in casa Astana invece incassano il contrattempo e partono subito alla riscossa: attacco doveva essere, attacco sarà.
Lopez parte, per strada si firma l’alleanza con Landa, davanti c’è il gregario Boaro che fornisce assistenza, Landa ha il suo Sutterlin, la situazione è perfetta per mettere su un bel quartetto a cronometro, come usava una volta, e andarsi a guadagnare qualcosa.
Ma è strada facendo che arriva il vero colpo di tacco: là ancora più avanti, tra i fuggitivi del mattino, c’è Cataldo, altro scudiero di Lopez. Quando si intuisce che non ha forze per vincere, subito Martinelli gli chiede (gli impone) il sacrificio, tirare i freni e aspettare il capitano in arrivo.
Si apre puntuale il dibattito etico-morale: che roba è, si ferma un corridore in fuga?
Già, è sportivo fermare un corridore in fuga?
Certo ai demagoghi sembra un delitto. Un sopruso. Un’eresia blasfema.
Ma io sto con Martinelli. Una squadra è tenuta insieme da una causa comune. Da un fine collettivo. Da un’idea. Questo scopo domestico è portare Lopez il più avanti possibile nella corsa verso la maglia rosa. Non è il bieco interesse di Lopez, di un raccomandato o di un privilegiato: è l’interesse superiore di una squadra, di un gruppo, di una famiglia. E tutti, in famiglia, devono fare la propria parte. Non solo per obbedienza: possibilmente anche con convinzione e partecipazione.
Così, è parecchio edificante vedere Cataldo accettare questo ordine, ancora più bello vederlo sereno sul traguardo, senza gesti isterici e neppure senza mezze parole da povera vittima.
Poi si sa com’è: può darsi che l’intera tattica si riveli sbagliata. Un boomerang. Magari domani Lopez paga la spesa eccessiva e va a picco nel tappone. Magari, magari, magari. A forza di magari, c’è però gente in Giro che non osa mai niente. Che sa solo aspettare. L’Astana può avere mille difetti, ma questo peccato non lo commette mai. Se deve rimproverarsi qualcosa, deve sempre rimproverarsi l’eccesso di generosità, mai la tirchieria. Un bel modo di fare sport. Il migliore. Con i Martinelli in Giro, possiamo avere una certezza: la maglia rosa di Verona, l’ultima, l’unica che conti, sarà molto sudata. Per chiunque se la prenderà.
A proposito di fatica: subito appuntamento lassù, nel cuore del Gran Paradiso, per un vero tappone. Sarà altitudine, sarà freddo dopo il primo caldo, sarà lavoro duro. La Cuneo-Pinerolo made in China, taroccata soltanto con l’etichetta dell’originale, è dopo tutto un simpatico scherzo (che Coppi, prima o poi, perdoni lo scempio della sua opera d’arte). Per svegliarci davvero dall’interminabile Giro Sbadiglio serve l’elettrochoc. Spero che l’Astanite sia un virus contagioso, così da aggredire codardi e braccini. Se ancora non s’è capita, per vincere bisogna rischiare di perdere.