Ha una bici di Toni Bevilacqua, due volte campione del mondo di inseguimento. Ha una bici di Giovanni Valetti, due volte vincitore del Giro d’Italia. Ha due bici di Luisìn Malabrocca, due volte maglia nera al Giro d’Italia. Ha una bici di Giordano Cottur, triestino, che vinse al Giro del 1946 la tappa di Trieste quando “i giardini di Trieste non hanno più fiori. Le campane di Trieste non hanno più suoni. Le bandiere di Trieste non hanno più palpiti. Le labbra di Trieste non hanno più baci. I fiori, i palpiti, i suoni, i baci sono stati tutti donati al Giro d’Italia”.
Ivano Renosto sognava di fare il corridore. Giocava a calcio, finché si fece male a una caviglia, e addio calcio. Amava il rugby, ma sapeva di non avere il fisico adatto, e addio rugby. Gli restava la bici, ma senza mezzi e senza aiuti, neanche quello dei genitori, in bici è andato solo fra i cicloamatori. Però la passione gli è rimasta dentro, e adesso che è in pensione, è esplosa. E le bici le scopre, le trova, le acquista, le restaura, le custodisce, le colleziona. C’è da sospettare che lui parli a loro e loro rispondano a lui.
Sessantuno anni (“Da compiere”), padovano (“Nato a Badoere, a 50 metri dalla Rotonda, e a Badoere abito ancora”), folgorato dal ciclismo (“Per sette anni la Rotonda di Badoere era stata trasformata in pista e ospitava i campioni, da Gino Bartali a Fausto Coppi, poi è stata spesso trasformata in un set cinematografico, quando giravano ‘La cosa buffa’ la sera giocavamo a pallone con Gianni Morandi”), Renosto (nessuna parentela con il trevigiano ex professionista Giovanni) si è dedicato alle biciclette d’epoca radiografando, analizzando, censendo il patrimonio di Giovanni Chiapuzzo a Tortona, “120 bici di cui una quarantina importanti e di cui una trentina quasi integre”. Un impegno coinvolgente: “A volte mi alzo di notte per restituirle alla loro originalità. E mia moglie mi chiede se stia diventando matto”. Ma è un impegno affascinante: “C’è gente che, quando vede queste bici, si inginocchia, come se assistesse a un’apparizione o a un miracolo, come se venerasse una divinità”.
Nel collezionismo è indispensabile avere la certezza che una certa bicicletta sia appartenuta a un certo corridore: “Per questo sono sempre alla ricerca di documenti e fotografie che provino questa appartenenza. Studio, osservo, confronto, verifico. Cerco di risalire alle fonti e individuare i passaggi. Non mi fido delle voci. Ho una Legnano che si dice che fosse di Bartali. Ma qui un dubbio rimane”. E nelle bici, la parte più seducente è il telaio: “E’ come una donna: la bellezza dipende anche dalle proporzioni. La stessa identica bici, dalla taglia di Wladimiro Panizza a quella di Eddy Merckx, cambia completamente. Se poi davanti ha un bel manubrio…”. Renosto tiene i suoi gioielli in un appartamento, solo in certe speciali occasioni li esibisce in pubblico: “Li imballo, li proteggo, li carico, li scarico, li espongo. Il piacere di mostrarli è pareggiato dalla paura di danneggiarli”.
Perfezionista in officina, Renosto lo è anche in cucina: “Da passatempo sta diventando quasi un’arte. Le crespelle con il radicchio, il pasticcio di lasagne con il ragù fatto in casa, la famiglia dei risotti… Il mio orto, le mie galline…”. E le sue biciclette. Chissà se sogna ancora di fare il corridore.
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