Volete sapere come si racconta lei? «C’era la luce, c’era la strada, c’era la bici. C’era Matteo a riempire il cuore e rendere dolce la pedalata. C’era un bel po’ del mio mondo quella mattina su quella statale. C’era un allenamento da compiere per far bene in corsa. Perché correre in bici è come correre dietro a un sogno: vincere, diventare una campionessa».
Marina Romoli cullava quel sogno da sempre e a 21 anni aveva tutto per continuare a inseguirlo. Aveva tutto e poteva tutto. Finché non è arrivata quell’auto e la sua manovra assassina. «Lo schianto. Il buio. Dal tutto al niente, in pochi secondi». Marina si risveglia in un ospedale con la sua bella faccia massacrata e una paralisi agli arti inferiori. E’ sopravvissuta all’incidente, ma la diagnosi è impossibile da accettare alla sua età.
Era l’inizio di giugno di nove anni fa. Oggi Marina è una giovane donna, dalle sue Marche si è spostata a Cesena per laurearsi in Psicologia, e adesso si sta specializzando in neuroscienze cognitive e riabilitazione psicologica. «Cosa vuoi, le cose semplici non mi sono mai piaciute», ride.
Voleva fare la campionessa, ha dovuto inventarsi un’altra vita. «Sì, d’accordo, sarò anche stata forte, ma sinceramente io non ho avuto scelta: o morivo o trovavo qualcos’altro. Non lo so nemmeno io come ho fatto, ti viene da dentro, quando perdi tutto ti aggrappi anche alle piccole cose, cominci a costruire te stessa pezzo per pezzo. Io sapevo non avrei fatto la ciclista per tutta vita, sapevo che ero intelligente, e che studiare mi avrebbe protetto da qualsiasi cosa. E ho sempre saputo nella vita non si può avere solo un piano A, ci vuole anche un piano B e magari anche un piano C, non si sa mai».
Ha dovuto aspettare cinque anni per avere un risarcimento, «e dire che nel mio caso la dinamica era chiara, e poi erano le undici del mattino, c’erano molti testimoni. Ma sono cambiati i giudici e chissà perché in questi casi si ricomincia quasi da capo...». Oggi Marina con la sua Onlus si batte perché cambi il mondo: in termini di prevenzione, perché quello che ha dovuto passare lei capiti sempre meno, ma anche dopo, quando l’incidente purtroppo c’è stato. «I termini dei risarcimento a volte sono ridicoli. Se hai l’incidente con uno che non è assicurato, o non si trova, rimani senza niente, solo con l’assicurazione della federazione, decine di migliaia di euro che non risolvono niente. L’iter burocratico è incredibile, nel migliore dei casi ci vogliono quattro anni per concludere tutto il percorso: avvocati, udienze, stress, ci vorrebbe un aiuto psicologico anche per la famiglia, invece c’è spesso poco tatto da parte delle autorità, delle assicurazioni. Ti scontri con un mondo molto cinico. Se la dinamica non è chiara, possono non bastare dieci anni».
Purtroppo, quando si parla di sicurezza non è mai quella delle strade. «Quella passa sempre in secondo piano. Non voglio sottovalutare il terrorismo, ma volete mettere quanta gente muore ogni giorno sulle strade?».
2 - continua
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