Diceva: “Il bene si fa ma non si dice”. Ammoniva: “Certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”. Aggiungeva: “L’ultimo vestito è sempre senza tasche”. E andò proprio così: venne posto nella bara senza far conoscere tutto quello che aveva fatto, senza medaglie e con un saio da francescano terziario senza tasche.
Da quando è morto (5 maggio 2000), di Gino Bartali si dice un gran bene per tutto il bene che ha silenziosamente fatto. In bici. Non solo in corsa, da campione antico, da uomo di ferro (e di fede, una fede ferrea), da corridore indistruttibile (988 corse dal 1931 al 1954, 184 vittorie fra cui due tre Giri, due Tour, quattro Sanremo e due Lombardia, 45 volte per distacco, e solo 28 ritiri), ma soprattutto in guerra, da messaggero di pace, da fattorino di solidarietà, da gregario di umanità, un pony express che nei tubi del telaio della bici portava documenti falsi per salvare ottocento, forse mille italiani ebrei dalla deportazione nei campi di concentramento. Rischiando di suo: la pelle.
Anche per questo, oggi, il ciclismo di Bartali è sublimato ad arte. Il “Bartali” della ballata di Paolo Conte (e poi da Enzo Jannacci ai Tetes de Bois), “L’intramontabile” dello sceneggiato televisivo con Pierfrancesco Favino, il “Bartali: prima tappa” del monologo teatrale con Francesco Dendi, il “Bartali: campione ed eroe” nella messinscena di Ubaldo Pantani, e “La battaglia dei pedali: Gino Bartali, un ragazzo controvento” nel recital della Piccionaia di Vicenza. Per dire quanto Bartali sia un Garibaldi in bicicletta, un gigante del Novecento, un giusto tra le nazioni, un padre della patria, un Coppi toscano.
Domenica 18 novembre, alle 17, nella Biblioteca Malatestiana di Cesena, si racconta l’epopea dell’“Eroe silenzioso” con lo spettacolo teatrale di Luna e Gnac, tratto dal libro “La corsa giusta” di Antonio Ferrara (Coccole Books), organizzato da Anpi Cesena e Uisp Forlì Cesena nell’ambito di “Cesena Comics & Stories”, la fiera del fumetto per bambini e ragazzi. Gino, brontolando, abbaiando, ringhiando, avrebbe detto che non era proprio il caso. “Il bene si fa ma non si dice”. E se non si dice, non si recita nemmeno. Ma sotto sotto ne sarebbe andato tremendamente orgoglioso.
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