Da Nuova Delhi, India, a Boras, Svezia. Diecimila chilometri di strada, dieci stati di mezzo, 29 paralleli e 65 meridiani di distanza, quattro ore e mezzo di fuso orario. Non per tentare un record, non per stabilire un primato, non per entrare nel libro Guinness, non per firmare un’impresa e neppure per soddisfare uno sponsor. Solo – solo? – per amore.
Jagat Ananda Pradyumma Kumar Mahanandia: per tutti, Pikay. Indiano: di un villaggio, nella foresta, nella giungla, nella miseria. Intoccabile: fuori casta, paria, cioè condizione sociale zero. Studente, artista, sempre costretto a fare i conti per campare, tanto da decidere, in tre occasioni, di farla finita. Fino all’incontro, casuale e fatale, con Lotta, svedese, alle sette di sera del 17 dicembre 1975, a Nuova Delhi. Fu scintilla, passione, amore. Fu matrimonio. Poi Lotta tornò a Boras e Pikay rimase a Nuova Delhi, tutti e due in attesa dei soldi necessari per riunirsi.
Pikay lo fece in bicicletta. La prima, una Raleigh, di seconda mano, da donna perché costava la metà di un modello da uomo, acquistata a Nuova Delhi. La seconda, da uomo, nuova, rossa fiammante, acquistata a Kabul, Afghanistan, pagandola un bel po’ di soldi più la vecchia Raleigh. Anche la terza era da uomo, presa a Teheran, Iran, e anche questa sarebbe finita in vendita, “ottime condizioni, venti dollari”. Non solo biciclette, ma anche autobus, camion, treno, e a piedi. Sulla Grand Trunk Road e sull’hippie trail, negli ostelli e sotto i ponti, patendo la fame e soffrendo il gelo, nel deserto e a quattromila metri. Un’odissea romantica e sentimentale, conclusa il 28 maggio 1977.
“L’incredibile storia dell’uomo che dall’India arrivò in Svezia in bicicletta per amore” è il libro (Sonzogno, 304 pagine, 17 euro) che Per J Andersson ha dedicato a Pikay e a Lotta. Per dimostrare che l’amore è più forte di tutto, che il mondo non è poi così lungo e largo e neanche cattivo, che “poveri o ricchi non fa differenza: tutti hanno fame di qualcosa”, che “puoi diventare tutto ciò che desideri. Segui la strada tracciata dal destino”, che per contare sull’aiuto degli altri è indispensabile dare una mano in caso di bisogno, che sorridere ma anche disegnare e scrivere sono importanti, che l’importante è avere un’agendina con i nomi e gli indirizzi di chi si è incontrato – escursionisti, vagabondi, amici - sul cammino della propria vita, che la vita sembra una favola e lo è, e se lo è soltanto poche volte è perché non ci si crede mai abbastanza.
L’incredibile storia è vera, e adesso è anche un romanzone da pedalare tutto di un fiato. La bicicletta è qui compagna, amica, complice, testimone, ancora prima che Pikay cominci il suo lunghissimo viaggio per amore: quella volta, da piccolo, seduto sul portapacchi con la camicia del padre che svolazzava e si gonfiava come una vela, mentre veniva accompagnato il primo giorno di scuola, zigzagando tra i campi di granturco, gli alberi di mango e casette di fango, cercando di evitare buche e arbusti, con il cuore gonfio di curiosità e assetato di avventure.
Basta una bici per inseguire, e raggiungere, i propri sogni.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.