| 02/12/2008 | 16:10 “Quando andiamo a Fiorenzuola e a Caorso?” Questo è uno dei desideri espressi da Attilio Pavesi a Claudio Santi che, nella giornata di lunedì con una delegazione del velodromo piacentino (Silvia Sichel, Elisabetta Bottioni e Stefano Bertolotti), ha incontrato a Josè C. Paz il caorsano al quale da quest’anno è dedicato il velodromo di Fiorenzuola. Risponde Santi: “Quando compi cento anni” e Pavesi ribatte “beh manca poco”. La figlia Patricia e la nipote Elena ringraziano la delegazione per la visita e per il lavoro fatto a Fiorenzuola per Attilio, Patricia aggiunge “salutatemi e ringraziate per noi il direttore di Libertà Gaetano Rizzuto, il sindaco e l’amministrazione comunale di Fiorenzuola e di Caorso per quello che hanno saputo realizzare in quest’anno olimpico per ricordare la storia di mio padre”. Santi gli porta i saluti di tutti, degli amici piacentini, del nipote Lino e dei famigliari.
L’incontro, al quale ha partecipato anche il corridore argentino Sebastian Donadio, si è tenuto in un clima sereno e disteso ed ha avuto come filo conduttore i ricordi di Attilio Pavesi (98 anni lo scorso 1 ottobre), primo italiano a vincere un oro olimpico nel ciclismo su pista a Los Angeles 1932, nato e cresciuto a Caorso che nel 1937 si recò in Argentina per disputare una sei giorni a Buenos Aires, città nella quale rimase per disputare una serie di gare nella quale fu invitato e dalla quale non potè poi ritornare in seguito allo scoppio del conflitto mondiale.
Pavesi porta nel cuore la propria terra, il dialetto piacentino, inizia infatti l’incontro chiedendo “chi el chi lu’?” ma soprattutto diventa un libro aperto quando si parla di ciclismo. “Ogni volta che penso a Fiorenzuola ricordo le gare con Sesenna o i lunghi e faticosi allenamenti sulla Vernasca e a Bardi transitando da Castell’Arquato e Lugagnano”.
Nella sala ove si tiene l’incontro hanno esposto la prima pagina del Clarin, testata nazionale che in occasione delle Olimpiadi (nella gara madison di ciclismo su pista vinte dagli argentini Curuchet e Perez) ha dedicato un servizio di tre pagine al vecchio campione olimpico.
I ricordi legati al mondo della bicicletta riportano Pavesi anche ad amicizie importanti. “mi ha cresciuto Costante Girardengo; è stato il mio primo maestro e, in un secondo momento, un avversario ma soprattutto un amico con il quale ho mantenuto ottimi rapporti anche dopo che abbiamo smesso di correre.”
Pavesi, al quale è dedicato un museo proprio all’interno del velodromo di Fiorenzuola, ironizza sulla propria età. “Da tempo non conto più i miei anni ma me ne mancano davvero pochi per arrivare a cento”. Tra una canzone (“O campagnola bella, tu sei la Reginella, negli occhi tuoi c’è il sole, c’è il colore delle rose….”) e una battuta di saggezza (“addio mio bell’addio, questa giornata se ne va, come questa un'altra ancora se ne andrà”), il tempo sembra volare e al momento dei saluti a farla da padrone è la commozione “Grazie della visita, amici, che Dio vi benedica. Salutatemi la mia terra, l’Italia è Caorso” e solo il pronunciare del nome della località piacentina fa risplendere il sorriso sulle lacrime nel volto di Attilio Pavesi.
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