Stava lì nella sua bottega. Protetto da un camice, come un operaio, ma anche come un chirurgo. Riparava, e forse curava; sistemava, e forse guariva; e intanto ricordava e progettava, e forse sognava. Trovai una sedia, estrassi il taccuino, impugnai la penna. Nane Pinarello: “Cresciuto a polenta, il pane solo a Pasqua e Natale”, “Cominciai a lavorare a dodici anni e mezzo”, “Dal casoìn, un negozio di alimentari, ma solo per mangiare, di nascosto buttavo giù mezzi bicchieri di zucchero per rinfrancarmi, poi il pittore da muro, infine in bottega, quella delle bici Paglianti, una lira alla settimana, ma c’erano le bici”. Le bici e il ciclismo. La sua vita.
Nane Pinarello è ancora lì. Da nove mesi una parte della bottega è diventata un bar, il Koffee Bike Treviso, nel Borgo Mazzini, nel centro storico, un ingresso sulla piazza del Grano, quella del mercato del martedì. Nane sorveglia, nelle gigantografie giganti. Nane presidia, nelle maglie. Nane domina, nella memoria. Si servono caffè, si allungano spritz, si sfornano brioche, si propongono tramezzini, si va dalle colazioni agli aperitivi, dagli stuzzichini ai piatti, sette giorni su sette, un bar è anche un luogo d’incontri, un punto di riferimento e ritrovo, un centro sociale. E qualcosa di ciclistico, trasformato, rinnovato, un omaggio, un’eco, rimane.
Era il 1993. Pinarello mi confidò che “avevo un fisico magro, poco torace, con il grande caldo mi scioglievo, dopo un centinaio di chilometri non ne avevo più e prendevo le mie belle cotte, ma ci davo dentro, andavo in fuga, aiutavo, non mi arrendevo, tiravo anche a cinquanta all’ora”. Il debutto nel professionismo, ma da isolato, alla fine del 1946, con il Giro di Lombardia: “Mi presentai in bici e valigia. Sul Ghisallo feci la mia parte, in cima ero settimo. Poi la discesa, come pazzi, e la pianura, a tutta. Alle porte di Milano vomitai anche l’anima e mi ritirai”. Incontri ed episodi, corse e corridori, quanta umanità anche nel circuito di Castelfranco Veneto del 1947: “Nel finale, fuga a due, Fiorenzo Magni e io. Si correva dalle mie parti, ci tenevo a vincere, un po’ ingenuamente gli chiesi il permesso. Fiorenzo mi spiegò: ‘Se ti lascio vincere, che cosa dirà la gente? Che Magni lo ha lasciato vincere’. Aveva ragione: Non si deve imbrogliare la gente. La volata fu vera. E vinse lui”.
Era il ciclismo più amato, duro, prima durante e dopo, un ciclismo anche letterario, poetico alla sua maniera polverosa e perfino dolorosa: “Giro d’Italia del 1949, la Cuneo-Pinerolo, il volo di Coppi, Bartali a undici minuti, io a quarantaquattro. Ma non finì lì. A Pinerolo il nostro albergo era chiuso. Vagammo alla ricerca di una pensione. Finalmente ne trovammo una aperta. Alle otto di sera, il sospirato bagno. In una tinozza dove si pulivano i piatti. Dentro in tre, tutti insieme”.
Due Giri d’Italia, nessun Tour de France. Ma da artigiano e poi da industriale, ne ha corsi e vinti, da protagonista e da primatista. Pinarello sulle bici del Tour in tv, Nane sulle pareti del bar a Treviso. Il suo volto sembra scolpito nel legno. Oggi sono centodue gli anni dalla nascita.