C’era una volta la corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo, come da risaputo slogan: il Paese è rimasto bello, la corsa a ‘sto Giro è un po’ meno dura. Almeno rispetto alle ultime che l’hanno preceduta: cala l’altimetria (44.650 metri, quasi diecimila in meno rispetto all’edizione scorsa), si accorciano le tappe. A parte il Sud (Napoli il punto più meridionale), non le manca nulla, a cominciare dalle cronometro: fra Umbria e Garda, i chilometri contro il tempo sono poco più di 70. Poi ci sono gli sterrati toscani, i muri marchigiani e una buona dose di montagna, con sei arrivi in salita e lo Stelvio come Cima Coppi. C’è anche un avvio scoppiettante, prima con un finale da classiche a Torino, poi con Oropa il giorno dopo: c’è subito da far sul serio, insomma. Manca l’ultimo vincitore, Primoz Roglic, ma non è una novità: è in buona compagnia, anche i cinque che l’hanno preceduto non si sono ripresentati. Si presenta per la prima volta Tadej Pogacar, il migliore in circolazione perché vince ovunque: a 25 anni ha già in bacheca tante classiche quante Van der Poel (sei) e tanti Tour quanti Vingegaard (due). La sua è decisamente la faccia del Giro, le altre sono quelle dei possibili protagonisti.
Tadej Pogacar. Vince perché è il più forte in circolazione, perché nei cinque grandi giri fin qui frequentati è sempre salito sul podio, perché non fa mistero di puntare alla doppietta Giro e Tour che manca dai tempi di Pantani. Non vince perché questa corsa non è mai tenera con i suoi favoriti e qualche volta gira loro le spalle.
Geraint Thomas. Vince perché è il più esperto in materia di corse a tappe, perché c’è andato vicinissimo già nella passata edizione, perché ha accanto Arensman che può dargli più di una buona mano. Non vince perché quando arrivi a un passo dal bersaglio come gli è successo un anno fa poi non ti ricapita più.
Romain Bardet. Vince perchè arriva da una primavera perfetta, perché chi si piazza quasi sempre nei dieci al Tour ha le carte in regola per il podio rosa, perché prima o poi un francese tornerà a conquistare un grande giro. Non vince perché i chilometri a cronometro sono troppi per potersi poi rifare sulle montagne.
Cian Uijtdebroeks. Vince perchè è un altro che su un percorso del genere va a nozze, perché col suo talento può bruciare i tempi, perché correre nel team che ha conquistato tutti i grandi giri nella passata stagione è un bell’aiuto. Non vince perché a 21 anni non è facile debuttare in un Giro dove c’è da fare i conti con un certo Pogacar.
Antonio Tiberi. Vince perché è l’italiano più credibile, perché sa andar forte a cronometro e in montagna se la cava altrettanto bene, perché può contare sull’esperienza e sulla bravura di un veterano come Caruso. Non vince perché è al debutto sulle strade rosa e il peso della corsa non è certo lo stesso della Vuelta.
Ben O’ Connor. Vince perché ha dato segnali di crescita in primavera, perché ha le qualità per far bene sulle salite del Giro, perché ha l’età giusta per dimostrare di essere protagonista e non solo comprimario. Non vince perché dopo il quarto posto al Tour non ha più trovato la regolarità che serve per il salto di qualità.
Juan Pedro Lopez. Vince perché è in continuo progresso, perché al Tour of the Alps ha mostrato grande fiducia nei propri mezzi, perché aver vestito la maglia rosa per dieci giorni due anni fa è sempre un bel biglietto da visita. Non vince perché spesso è vittima di una giornata storta e confida più nelle tappe che nella classifica.
Dani Martinez. Vince perché è buono per tutti i terreni, perché il Giro lo ha già fatto vincere al suo connazionale Bernal, perché può contare sull’esuberanza e la brillantezza del giovane tedesco Lipowitz finito sul podio al Romandia. Non vince perché non corre da oltre un mese e il meglio sembra averlo dato in febbraio.
Davide Piganzoli & Giulio Pellizzari. Vincono perchè sono corridori completi, perchè a vent’anni hanno dimostrato di saper correre senza paura anche ai livelli più alti, perchè nei loro team hanno lo spazio per esprimersi. Non vincono perchè, rispetto ai coetanei, i giovani italiani hanno bisogno di più tempo per crescere.
Luke Plapp. Vince perchè può esser l’uomo che non ti aspetti, perchè è un altro che ha confidenza con il cronometro e con le salite, perchè può contare sull’appoggio di Filippo Zana anche a livello strategico. Non vince perchè a 23 anni un conto è mostrarsi in crescita nelle grandi corse, un altro conquistarle.