Francesco Lamon è il corridore meno noto del formidabile quartetto azzurro. Eppure nel suo palmares ci sono, oltre a varie medaglie di argento e di bronzo, due titoli europei, un mondiale, un oro olimpico con tanto di record del mondo. Straordinario. E il suo compito, in una macchina velocissima e dai sincronismi perfetti, è forse il più delicato. Partire da fermo con un 64x14 e portare il treno a sessanta all’ora nell’arco di due giri, ovvero 500 metri, è un’impresa. Uno sforzo bestiale. E quel compito tocca a lui che tra l’altro è l’unico vero “dilettante” di questo magico gruppo. Francesco non ha i ricchi contratti di Ganna, Milan e Consonni, così veste sia i colori delle Fiamme Azzurre e dell’Arvedi.
Noi lo abbiamo incontrato appena finito di pranzare. Dopo l’allenamento del mattino, con varie prove del quartetto, l’anello di Montichiari lo aspetta nel anche per la sessione pomeridiana.
Francesco il 5 agosto scenderete in pista per difendere il fantastico oro conquistato a Tokyo: come vive questo avvicinamento? Ha un calendario speciale?
«Abbastanza tranquillamente, non sento la pressione. Prima cosa deve conquistarmi la convocazione, entrare a far parte della squadra, poi magari da quel momento in poi i pensieri aumenteranno. La convocazione ufficiale per Tokyo l’ho avuta seguendo in autostrada la diretta Facebook della conferenza stampa della Federazione… Aspettiamo questa».
Parlando con il c.t. Villa si ha l’impressione che lei sia un elemento fondamentale della squadra.
«Diciamo che dopo un periodo un po’ difficile post-Tokyo sono tornato sui miei livelli. Anzi, ora sto meglio di Tokyo. Sono consapevole delle mie possibilità, so cosa posso dare. Ma tutta la squadra mi sembra più consapevole. Ora sappiamo cosa possiamo fare. E rifare».
Cosa significa lanciare il treno?
«Significa avere un’enorme responsabilità. Hai la tua ma anche quella degli altri, non sei solo. Sono anni di lavoro e sacrifici tuoi e degli altri. Però se sono al top, e penso che lo sarò, vivo questa responsabilità serenamente».
Il suo è uno sforzo feroce, violento e cattivo, eppure lei trasmette calma e pacatezza.
«Credo sia una questione di carattere e di consapevolezza del lavoro svolto. Poi abbiamo tutto al top: preparatori, tecnici, materiali…. Questo è fondamentale».
Ci racconta la sua giornata tipo?
«Dividiamo il discorso in due: Montichiari e altura. Nel primo caso mi sveglio alle 8.30, alle 10 sono in pista, alle 13 pranzo e alle 16 torno in pista fino alle 20.30. Questo dal martedì al venerdì. Sabato e domenica corro su strada, lunedì riposo. In altura mi sveglio alle 8, a volte prima di colazione faccio 20-30 minuti di lavoro sulla cadenza, poi palestra per la forza e bici nel pomeriggio. Se non faccio palestra al mattino vado direttamente in bici, ma alle 15 voglio avere finito. Per una questione di recupero fisico e mentale preferisco fare un blocco unico».
Giù dalla bici come si rilassa?
«Magari può sembrare strano ma non ho grandi hobby. Sono mentalizzato sull’obiettivo. Tolgo tempo a tutto. Farei una cosa tanto per farle e non avrebbe senso».
La rinuncia più grande?
«Vivere una vita normale al di là del ciclismo. Sara, la mia fidanzata, ne sa qualcosa. Ma rifarei mille volte queste scelte, queste rinunce».
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.