Si è tolto un peso e ha ritrovato l’amore. Peter Sagan ora è un uomo felice. La sua sembra una storia inverosimile, ma dall’entusiasmo che mette nel raccontarla – e che trasmette - si capisce che non mente. “Pedro”, abbandonato il mondo della strada, con la mtb ha riscoperto il piacere di correre in bici. La passione. E, secondo chi gli è molto vicino, si allena come mai nella sua vita. Rinuncia a tutto pur di non perdere un allenamento. La chiacchierata si svolge mentre in auto sta andando a Marsiglia dove nel week end sarà impegnato in una gara cross country.
Peter, innanzitutto, come stai?
«Bene, sia di salute, sia di morale. Sono contento. Quella con la mountain bike in pratica è una nuova esperienza perché non conosco i circuiti. L’anno era iniziato alla grande. A gennaio e febbraio mi sono allenato tantissimo e bene in Sudafrica. Poi come sapete ho fatto due gare in Spagna e alla seconda ho avuto l’aritmia che mi ha costretto a fermarmi».
Il 23 febbraio l’intervento per l’ablazione: cosa hai pensato? Hai avuto paura?
«Dire che mi sono spaventato no, però i medici mi hanno subito fatto capire che con queste cose non si scherza. Bisognava subito escludere che ci fossero rischi maggiori. Il dottor Roberto Corsetti, che mi segue dai tempi della Liquigas, è stato splendido. Così come tutta l’equipe dell’ospedale di Ancona. Ho trovato tanta disponibilità e tanta professionalità. Hanno fatto in fretta e sono stati molto bravi. Alla fine sono rimasto fermo solo 11-12 giorni».
Che programmi hai?
«Dopo Marsiglia andrò in Slovenia per due gare su strada, giusto per fare bene la gamba. Poi partirò per il Brasile per due prove di Coppa del mondo».
Da giovane correvi in fuoristrada, poi 14 anni da pro’ e da questa stagione di nuovo la mtb: com’è cambiata questa disciplina?
«Cambiato tutto: percorsi, modo di correre, bici… Non è facile correre in mtb. I percorsi sono diventati più artificiali, più tecnici in modo che aumenti lo spettacolo. Io da giovane correvo con ruote da 26, ora si va tutti con le 29. Quasi tutti usano la bici full-suspended, prima solo front. Tutti con il reggisella telescopico che noi non sapevamo neppure cosa fosse. E le gare sono più corte, un’ora e venti, un’ora e mezzo al massimo. Sei sempre con il cuore a mille».
Meglio prima o adesso?
«Ora mi sa che vado un po’ più piano, però a me piace che sia più tecnica come disciplina. Mi dà più adrenalina».
A proposito di tecnica, tu sei uno di quei corridori che si sistema la bici o lascia fare tutto al meccanico?
«Dipende. Preferisco che sia il meccanico a metterci mano ma quando sono a casa faccio quasi tutto io. Se non ci riesco studio su internet come risolvere il problema. Poi alle gare ci pensano i meccanici».
Restiamo un attimo in tema attrezzatura: cambiato qualcosa rispetto al passato?
«No. Sono molto legato ai miei sponsor che sono anche amici: Sportful, Specialized e 100% mi coccolano davvero».
Mentre tu coccoli Marlon che il 25 ottobre ha compiuto sei anni.
«Sono stato un lungo periodo senza vederlo perché come ti dicevo tra allenamenti e intervento ero lontano. Negli ultimi due giorni siamo stati assieme molto bene. È un bravo bambino. Forse verrà a Marsiglia a vedermi correre. Sarà una cosa nuova anche per lui».
È mai venuto a vederti correre su strada?
«Poche volte. L’ultima crono del Giro, due volte alla Sanremo… Ma io avevo sempre troppa gente attorno. Però a lui piace fare le foto e vuole che lo prenda in braccio per esserci».
Ha passione per la bici?
«Gioca a calcio e tennis, che preferisce. Dice che lui non vuole essere un ciclista. Però a prendere un gelato e a scuola andiamo in bici sulla strada. Io gli sto dietro e lo proteggo. Vedremo quando sarà grande cosa vorrà fare».
Torniamo al ciclismo e in particolare alla Tirreno-Adriatico 2023, tappa di Osimo. Ai bus mi confessasti: «Questo non è più il mio mondo».
«Su strada ho fatto abbastanza. Quattordici stagioni non sono state poche. E giovane non torno più. Poi io ho sempre avuto voglia di fare mtb. Già dal 2010 quando sono passato pro’ sapevo che un giorno sarei tornato qui. La strada non è mai stata nel mio cuore. Ora invece mi diverto. La strada l’ho sempre vista come una professione, come un lavoro che mi ha dato tanto. Tantissimo. Ora ci vado ancora ma come allenamento. La mtb è passione, mi diverto come un matto. Se non cado (sorride, ndr)».
Parigi è un obiettivo realistico?
«Vediamo se succede un miracolo. Io ci terrei tantissimo a esserci. La Slovacchia non ha posti disponibili e io in pochi mesi non riesco comunque a fare i punti necessari per la qualificazione. L’unica speranza è avere una wild card. Se arriverà sarò molto felice».
E se Peter fosse ai Giochi avrà l’onore di essere il portabandiera della sua Slovacchia.
Peter un’occhiata alla strada dobbiamo comunque darla visto che sabato si corre la Milano-Sanremo. Domanda d’obbligo: i favoriti?
«Sto seguendo molto poco le corse, però vedo un duello Van der Poel-Pogacar (Il video dello sloveno sulla Cipressa è una dichiarazione di guerra, ndr)”.
Per gli italiani vedi possibilità?
«E con chi? Milan mi dicono che va forte ma sarà difficile che possa superare bene Cipressa e Poggio».
E a te cosa è sempre mancato nella Classicissima?
«Fortuna! C’è sempre stata una piccola cosa che ha fatto andare le cose così (e viene in mente soprattutto il fotofinish con cui perse contro Kwiatkowski nel 2017, ndr). La Sanremo sarebbe stata la ciliegina sulla torta della mia carriera, ma ho vinto tanto lo stesso».
Sagan ora è un uomo felice. E se lo merita.