Su tuttobiciweb scriviamo di ciclismo, ma questa mattina mentre ero in sella alla mia bici non riuscivo a smettere di pensare ai fatti di cronaca che la stanno facendo da padrone in questi giorni.
Mentre pedalavo mi rimbombavano in testa le parole di Elena, la sorella di Giulia Cecchettin: “Filippo Turetta viene spesso definito come mostro invece mostro non è. Un mostro è un'eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c'è. […] La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling”.
Uella, che bella! Ti fa bene pedalare... Sapete quante volte mi è successo di uscire in bici vestita in lycra e ricevere apprezzamenti per il mio lato B? Ho perso il conto. O di evitare certi orari e zone perchè poco sicuri? Ai miei compagni di allenamento uomini non credo sia mai successo, se non per evitare il traffico di punta e i vaffa degli automobilisti. Per quelli non esiste differenza di genere. Ci odiano tutti, maschi e femmine indistintamente.
Io in bici da sola non ci vado più perchè ho paura. Mi capita di raccontarlo, ma fino ad oggi non credo di averlo mai scritto. Ho deciso di farlo perchè da donna e giornalista non posso restare indifferente alle parole di Elena. "Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza, ditelo a quel collega che fa catcalling alle passanti, rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio. Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno. Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto".
Il riferimento finale è alla poesia dell'attivista peruviana Cristina Torres Caceres, diventata virale, che si conclude così: Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l'ultima.
Giulia non è stata l'ultima, già oggi piangiamo un'altra donna uccisa da chi diceva di amarla. Diceva una bugia. “L’amore vero non umilia, non delude, non calpesta, non tradisce e non ferisce il cuore. L’amore non picchia, non urla e non uccide”. Trovo perfetta la definizione pronunciata da Gino, il papà di Giulia. Come la violenza stradale di cui ho scritto ad ogni incidente fatale a un ciclista, così quella di genere non si risolve con un articolo ma questa sera invece che scrivere di gare e premiazioni, volevo riflettere insieme a voi su questo tema. Nel nostro piccolo, anche attraverso lo sport e le parole che usiamo ogni giorno, possiamo cambiare le cose. È nostra responsabilità. A un bambino che cade e scoppia a piangere impariamo a non dire “Smettila di frignare come una femminuccia”, una bimba che attacca forte evitiamo di definirla “con le palle”.
Non so se questo pezzo abbia senso su un sito sportivo, ma se siete arrivati a leggere fin qui ho un ultimo messaggio. Per gli uomini: alle ragazze e signore con cui uscite in bici o incontrate per strada non rivolgete commenti inopportuni, non spingetele (se non ve lo chiedono e avete la confidenza per toccarle), proteggetele dall'aria se è il caso e non sentitevi feriti nell'orgoglio se vanno più forte di voi o, addirittura, vi staccano. Stateci accanto (se ci riuscite), ma lasciateci pedalare libere.