Siamo, come tutti voi cicloappassionati, freschi reduci dall’entusiasmo respirato sulle strade del Tour, da una festa di strada nazionalpopolare che ci ha puntualmente, ad ogni luglio, reso per un mese almeno meno diffidenti nei riguardi dei francesi, più pacati nei confronti del loro sciovinismo. E più incantati, non di meno, per i loro panorami pure.
E altresì siamo costretti a registrare, in tanti già e molto bene lo hanno fatto, la scarsa attenzione della nostra stampa, sportiva e di informazione, nei confronti del Tour stesso, che pure ha fatto registrare picchi di attenzione televisiva incredibili, altro che tennis e Formula Uno, a livello internazionale.
E una ancora più dolorosa sottostima dell’impresa di Giulio Ciccone, maglia a pois di migliore scalatore, a Parigi, trenta anni e passa dopo Claudio Chiappucci. E senza neppure avere l’intuito giornalistico di cogliere in questo risultato lo spunto favorevole per quel Tour del 2024 che partirà dall’Italia, da Firenze. Un Tour del 2024 che onorerà il ciclismo italiano, più di quanto dunque non sappiano fare gli italiani. Nella ragion veduta, non solo nel cuore, e sulla carta stampata.
Quel ciclismo che da noi, e ci fermiamo per pudore, merita un rettangolo se non pagine intere, per un dolore e una tragedia avvenuta in corsa, la morte in discesa di un corridore, che non per una sua vittoria in salita. Il ciclismo cronaca nera, mai un Girocittà.
E al rapporto conflittuale fra ciclismo e il nostro paese, pensavamo così, puntando l’attenzione sul Giro del 2024, e su quale possa essere il suo percorso, del quale al momento non ricordiamo particolari anticipazioni.
Di una sola cosa siamo però sfumatamente informati, e torniamo nel nostro osservatorio geografico regionale: che non è privilegiato, ma pure permette di cogliere ancora più bene gli estremi di un disagio fra il ciclismo e il territorio.
Ok, è passato in giudicato, il Giro d’Italia è arrivato, con grande clamore e sacrosanto entusiasmo, per due anni consecutivi a Napoli. Nel 2022, con una Napoli - Napoli, incentrata sul circuito dei Campi Flegrei memorabile, primo De Gendt, e quest’anno con una Napoli - Napoli, traversando Costiera amalfitana e Penisola sorrentina, senza il clou di un circuito conclusivo, primo Pedersen.
Ma la possibilità di un terzo consecutivo traguardo a Napoli, come già sussurrato, ci lascia curiosamente interdetti. Il Giro è l’ambasciatore principe di ciclismo, e deve essere di conseguenza il suggeritore di una penetrazione del suo sport nel contesto che va ad illuminare. Se questo però non accade, certo anche per il clamoroso dominio planimetrico e mediatico, e certamente passionale, del calcio a Napoli, esaltato vertiginosamente con il suo terzo scudetto, un attimo di riflessione si impone.
Il Giro a Napoli non deve rassegnarsi ad una abitudine, pure piacevolissima: deve meritare una inversione di tendenza, alla sua estraneità locale. Ma è stato proposto in qualche scuola partenopea - è lì che si cresce ancora, o si dovrebbe -, un tema in classe su Thomas De Gendt, e il perché di una sua autobiografia che si chiama «Solo», l’anno scorso? O un saggio quest’anno su Mads Pedersen vincente e sull’arrivo infelice di Clarke e De Marchi perdenti, ripresi a 300 metri dal traguardo? Non esiste più un docente curioso, non forzosamente innamorato, di ciclismo? Un umanista dello sport, che non sia inquinato dal passepartout calcio?
Il Giro a Napoli deve essere confermato, anche a vita, se si crede a rinvigorire una sintonia di sentimenti, a istruire un percorso virtuoso che insegni a scrivere senza errore il cognome Merckx. E a sapere chi è stato Anquetil, prima di Platini. Non esclusivamente per un accordo economico, pur inevitabile al tempo mercantile di oggi, fra segretarie politiche di città ed uffici commerciali di società.
Ps. Nell’attesa, perché il ciclismo deve sempre rammentare dove persiste irriducibile e senza titubanze il suo amore, ricordiamo come sia stata proposta ufficialmente al Giro d’Italia, ancora in Campania, ma da Caserta, una cronometro individuale Airola - Caserta, sulle orme del monumentale Acquedotto Carolino disegnato da Luigi Vanvitelli. Per un tracciato che va dalle sorgenti del Fitto, provincia di Benevento, alla Reggia di Caserta, le cui cascate sono rifornite appunto da quelle acque. E questo a sigillo delle celebrazioni per i 250 anni dalla morte, appunto, del grande architetto Luigi Vanvitelli. Un progetto presentato, ed è questa essenza in nuce che il ciclismo deve tenere di conto, anche nella sua muscolare versione metropolitana, dalla “Associazione Sportiva Culturale Amici di Fausto Coppi”di Ercole di Caserta, prima firma Amedeo Marzaioli.
da tuttoBICI di agosto