Un progetto, adesso, c’è. Un progetto per ricostruire il velodromo di Roma all’Eur. Lo ha presentato Giusy Versace, senatrice di Azione, ed è stato realizzato da Marco Muro Pes, architetto e consigliere municipale a Roma-Eur: due piste concentriche, esterna quella del ciclismo, interna quella dell’atletica, 15 mila metri quadrati di estensione, tra i 45 e i 70 milioni di euro di costo, tra i 5 e gli 11 mila spettatori per le gare indoor di ciclismo e atletica. “Lanciamo un progetto – ha spiegato Versace - e speriamo che qualcuno lo colga: non ci interessa chi metterà la firma, ma è importante che si faccia. Quello a cui pensiamo è un impianto polifunzionale indoor, in Italia di queste strutture ne abbiamo pochissime”. Ora la decisione spetta a Eur spa e quindi anche in parte al Mef, proprietari delle azioni dell’area interessata, con il necessario confronto e coinvolgimento di Municipio, Comune e Regione. La Federazione ciclistica italiana (e Coni) si è già dichiarata entusiasta.
Il velodromo dell’Eur fu costruito tra il 1957 e il 1960 per i Giochi olimpici del 1960 su progetto degli architetti Cesare Ligini, Dagoberto Ortensi e Sergio Ricci. A cielo aperto, aveva una pista lunga 400 metri in un legno del Camerun. Inaugurato il 30 aprile 1960, quella sera in pista c’era anche il campione del mondo della velocità professionisti Antonio Maspes, visse momenti magici proprio durante l’Olimpiade. Gli azzurri s’imposero nella velocità e nel chilometro da fermo (Sante Gaiardoni), nel tandem (Beppe Beghetto e Sergio Bianchetto) e nel quartetto dell’inseguimento (Luigi Arienti, Franco Testa, Mario Vallotto e Marino Vigna). Nel 1960 il record mondiale di Maspes nei 200 metri lanciati in 10”8, nel 1967 il primato mondiale dell’ora del belga Ferdinand Bracke con 48,0934, nel 1968 il titolo mondiale di Beghetto nella velocità professionisti. Il tramonto del velodromo fu rapido, l’addio lungo: 48 anni di vita, gli ultimi 40 di agonia, nel 2008 la demolizione. Poi scandali e polemiche, ipotesi e riflessioni, infine il nulla, fino alla proposta di Versace.
Nell’attesa, siamo liberi di sognare. Una pista per campioni e campionati, per amatori e amanti, per praticanti e frequentatori, per tesserati e paganti, per partenze e arrivi di corse su strada. Nell’attesa, siamo liberi di ricordare. La nazionale italiana di ciclismo che, proprio durante Roma 1960, era confinata in un convento di suore alle Frattocchie, sulla strada verso Marino sui Castelli Romani, e di notte i corridori, tenuti a stecchetto, penetravano in cucina e irrobustivano la loro dieta. Nell’attesa, siamo liberi di rileggere. Il bergamasco Guglielmo Pesenti, escluso – pare – dai velocisti (al suo posto fu convocato il bresciano Giuseppe Ogna) perché aveva osato criticare proprio la pista olimpica per la mancanza di curve sopraelevate.
Nell’attesa, speriamo di non attendere troppo.
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