Le corse a tappe, anche questo Tour of Rwanda, vivono di classifiche: la generale, quella a punti, quella della montagna, quella degli sprint, quella a squadre, quella del migliore africano... Volete conoscere le mie personalissime classifiche?
Il più forte: Henok Mulubrhan. Ventitrè anni, eritreo di Asmara, di famiglia numerosa, alto magro e forte, campione continentale africano 2022 e 2023. Qui c’era già stato con la nazionale eritrea, conosceva un po’ i percorsi, ricordava lo spirito della corsa. E’ giunto allenato, convinto, fiducioso. E da capitano della nostra squadra, la Green Project Bardiani-CSF-Faizanè. La prima tappa è arrivato terzo, la seconda secondo, la terza primo, conquistando la maglia gialla di leader, e la quarta – ieri – quinto, perdendo il primato, ma rimanendo lì, a una ventina di secondi dal primo. Henok (il nome è intraducibile) tiene bene in salita e nel finale ha uno spunto veloce. E’ serio e simpatico – si può essere seri anche da simpatici, e simpatici anche da seri -, lui ci parla in inglese, noi in italiano, il risultato è che noi continuiamo a ignorare l’inglese e lui sta imparando l’italiano, tant’è vero che quando gli dico “a tutta” o “a blocco”, lui mi stacca, così gli urlo “va’ piano” ma ormai è troppo tardi.
Il più simpatico: Filippo Fiorelli. Ventotto anni, siciliano di Palermo, vincitore di tappe al Giro di Bulgaria e Albania da dilettante, di una corsa in Croazia e di una tappa in Romania da professonista, collezionista di cento piazzamenti fra i primi dieci, che è molto meglio di averne dieci fra i primi cento come è successo a me (scherzo, sia chiaro). Filippo è come se fosse mio fratello, anche se i nostri cognomi sono diversi, ma minore, perché io di anni ne ho 30. Tutte le trasferte siamo nella stessa camera, lui ha anche il dono di non russare, io non lo so perché non mi sento. Molto spesso abbiamo anche le stesse idee, ci piacciono le stesse cose, amiamo gli stessi generi musicali.545
Il più famoso: Chris Froome. Ha vinto quattro Tour, due Vuelta e un Giro, e ottenuto due bronzi olimpici e tre mondiali. Ma sembra e si comporta come uno di noi che ha vinto poco o niente. Insomma, non sta su un piedistallo, al massimo sta su una sella. Qui non l’ho ancora visto frullare sui pedali, però temo che lo faccia da oggi, con le tappe (e le salite) più adatte alle sue qualità di scalatore. Con noi parla anche in italiano. L’altro giorno in corsa mi ha invitato a tirare, e non gli ho potuto dire di no. L’altra sera a cena ci siamo incontrati in un albergo, che era una specie di convento delle suore, e ci siamo salutati come se fossimo due colleghi normali. La verità è che io sono normale e lui super.
Il più matto: Manuele Tarozzi. Ventiquattro anni, emiliano di Faenza, altro mio compagno di squadra. Fuori corsa ne racconta tante, lui dice che sono tutte vere e io gli credo, in corsa scalpita, scatta, attacca, insegue, poi finisce – come gli succede in questi giorni – di tirare dalla mattina alla sera (si fa per dire, ma non potevo mica dire dalla mattina alla mattina, come invece succede partendo alle otto e arrivando a mezzogiorno o all’una).
Il più bello: io, modestia a parte.