Si fa presto a dire: la corsa. La verità è che: c’è corsa e corsa. Le corse africane, per esempio, sono molto diverse da quelle europee.
L’orario: il Tour of Rwanda si corre la mattina, il Giro d’Italia o il Tour de France ormai il pomeriggio. Quando si dice mattina, significa alba. Stamattina, sveglia alle cinque e quarantacinque, colazione alle sei, trasferimento alle sette, il via alle otto e mezzo. Un po’ per il caldo, che in questa stagione non scende mai sotto i trenta gradi, con un tasso di umidità che a volte richiede l’uso dell’ombrello. Un po’ per i trasferimenti dagli alberghi alla partenza, comunque molto meglio farli all’alba quando il traffico è limitato, piuttosto che più tardi quando si scatena il caos.
La partenza: sei-sette chilometri dal via ufficioso al via ufficiale, cioè dal centro delle città dove è impossibile avere delle regole al chilometro zero fissato fuori dalle città, qui è il giudice di gara che alza e abbassa la bandierina e libera le prime fughe.
La strategia: non esiste strategia. Quando il gruppo concede finalmente la fuga, i fuggitivi non sanno regolarsi, disciplinarsi, risparmiarsi, ma si sfiniscono correndo a tutta, alla morte. Risultato: non è il gruppo che riprende i fuggitivi, ma i fuggitivi che rimbalzano dentro il gruppo. Come è successo ieri, dei quattro fuggitivi ne sono rimasti tre, poi due, poi uno solo, perché invece di collaborare, i quattro, poi i tre, infine i due si facevano la guerra. Ma anche dietro c’è scarsa organizzazione: le squadre non si alleano, non si aiutano, qui si lascia tutto sulle spalle della Quick Step-Soudal, la più forte, tanto forte da aver conquistato le prime due tappe.
I rifornimenti: non solo non esiste la strategia, ma non esistono neanche i rifornimenti. Le sacchette a metà percorso te le sogni. E’ l’ammiraglia l’unica fonte dei rifornimenti. Basta saperlo e ci si arrangia.
Il pubblico: esuberante, esagitato, travolgente, traboccante, incalcolabile, incredibile. Se in Italia o in Francia gli spettatori si trovano nei centri abitati, qui stanno dovunque. Ieri, a un certo punto, mi scappava la pipì. Dovevo fermarmi in un punto senza spettatori, altrimenti avrei potuto prendere una multa per atti osceni o irriguardosi. Impossibile. Non riuscivo a trovare dieci metri liberi, c’era sempre qualcuno, così mi sono dovuto fermare in un campo e addentrarmi fino a trovare un minimo di privacy.
Le miss: non ho avuto ancora il piacere, ma posso garantire che si tratta di belle ragazze locali, che fanno parte dell’organizzazione.
Le maglie: neanche in questo caso ho avuto ancora il piacere, ma anche in questo caso posso garantire che si tratta di maglia gialla per il leader della generale, maglia bianca per il leader fra i giovani, maglia arancione per i gran premi della montagna, maglia blu per gli sprint, maglia bianca e verde per il migliore africano...
Il lavagnista: come al Giro d’Italia sessant’anni fa e come al Tour de France anche adesso, c’è una moto su cui il passeggero, dietro, esibisce una lavagna con il tempo che separa i fuggitivi dal gruppo.
La carovana: è quella sequenza di camion e macchine che precedono la corsa, lanciano gadget e caricano a molla il pubblico. Come se ce ne fosse bisogno.
I bambini: impazziscono di ciclismo. Ci inseguono, ci circondano, ci corteggiano. Finita la tappa, seduto sul pullmino, ho aperto il finestrino e regalato le mie due borracce a una schiera di bambini. Avevo ancora una lattina con una bibita gassata, mezza piena, l’ho allungata fuori dal finestrino, e la lattina è sparita all’istante.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.