Tour de l’Avenir 1965. Francia, ma la prima tappa si correva in Germania, l’ultima in Spagna, 13 tappe per quasi 2200 km, a squadre nazionali. L’Italia, commissario tecnico Elio Rimedio, elegge capitano Battista Monti. Alla seconda tappa, arrivo a Eupen, Belgio, Monti cade e ad aspettarlo non ci sono tutti gli azzurri, ma solo due. Monti si arrabbia: e prende un quarto d’ora. La sera, in albergo, a tavola, fa fuoco e fiamme: chi c’era, racconta di posate che saltavano e di piatti che volavano. “Domani vinco – giura Monti andandosene in camera senza salutare – e faccio le valigie”. E’ di parola: otto uomini in fuga, lui primo a Liegi, poi le valigie e, senza salutare, a casa.
Battista Monti, a 78 anni, è andato in fuga, quella definitiva, il 28 novembre. Un funerale intimo, bel modo per ammettere che di gente, a salutarlo per sempre, ce n’era poca. Due giorni prima della morte di Davide Rebellin, tre di Ercole Baldini: battuti per distacco in un ciclo di giorni neri. Moglie, figlie, qualche conoscente, qualche amico, gli altri trattenuti a casa da mali stagionali o circostanze impreviste, molti altri avrebbero saputo della morte solo a cerimonia archiviata. Anche noi di tuttobiciweb. Ne chiediamo scusa arrivando solo adesso, fuori tempo massimo.
Aveva 78 anni, Tista. Era nato a Ponticelli, una frazione di Imola, dove la strada si fa montanara verso il Mugello, dove l’Emilia è già Romagna, e nelle case ti offrono un bicchiere di vino, non di acqua. L’origine operaia, l’infanzia dura, la morte del padre, la presenza del patrigno, la bici come compagnia, il ciclismo come riscatto, forse il talento, certo la forza. E il carattere. Che carattere. Caratterino e caratteraccio. Fatto a modo suo, descritto rustico, scorbutico, irrequieto, impulsivo, originale, ribelle, però con un cuore grande così. Diceva quello che pensava. Pensava quello che diceva. Ipocrisia zero, sincerità sempre. E si sa che a dire quello che si pensa e a pensare quello che si dice, di strada, non se ne può fare tanta. E invece Tista ne fece: tre anni da protagonista fra gli allievi, Gruppo sportivo Ronchini di Casalfiumanese, protagonista anche fra i dilettanti, Pedale Ravennate, la rivalità con quelli della Rinascita, le liti con gli avversari e anche con i compagni, vittorie prestigiose, la Coppa Burci a Firenze, il Trofeo Piva a Treviso, il Gran premio Cuoio e Pelli a Santa Croce sull’Arno, il Gran premio di Camaiore, per dirne solo quattro dove a vincere non erano mai corridori casuali o improvvisati.
La Coppa Burci, per esempio. Anno 1965. In macchina con Giuseppe Poli, ferrarese di Santa Maria Codefiume, altra testa mezza matta, soprannome Tango. Tango tira su la bici, ma lascia giù una ruota. Una ruota della bici di Tista. Quando se ne accorgono, Tista vuole tornare indietro, Tango dice che è troppo tardi. Tista non vuole neanche prendere il via, poi invece si sfoga e vince per distacco.
Il Giro delle Antiche Romagne, per esempio. Anno 1965. Tista conquista la terza tappa, sembra poter dominare la corsa nonostante il prodigarsi di Claudio Michelotto, finché Renzo Bagnoli, il patron della Sammontana, che ha trasformato una latteria in un bar, il bar in una gelateria, la gelateria in un’industria, e l’industria anche in una squadra di ciclismo, chiama Rimedio e gli annuncia che quel Giro delle Antiche Romagne lo vuole vincere lui. Cioè: Michelotto. Rimedio convoca Michelotto e Monti: tu, e indica Michelotto, arriverai primo, e tu, e indica Monti, secondo, ma al Tour de l’Avenir sarai il capitano. Monti obbedisce. L’ultima maledettissima volta in cui avrebbe obbedito. E sarebbe stato di parola.
Il Mondiale dilettanti, per esempio. Anno 1965. Dopo il Tour de l’Avenir Rimedio dichiara, anche su “Stadio”, che Monti non sarebbe andato mai più, “mai più”, in Nazionale. Ma Tista, su tre premondiali, due ne vince e l’altra arriva secondo, e a furor di popolo viene convocato. A Lasarte-Oria, in Spagna, si lascia sfuggire il francese Jacques Botherel. Deluso, o primo o niente, si disinteressa del secondo posto, allo spagnolo José Manuel Lasa, e finisce terzo.
Professionista. Il primo anno, il 1966, alla Salvarani, voluto da Luciano Pezzi. L’esordio, libero di fare la propria corsa, al Trofeo Laigueglia: sesto. La libertà finisce lì: da adesso in poi, gli comanda Pezzi, gregario di Felice Gimondi. Tista si arrabbia: Gimondi si attacca ai miei pantaloncini, Gimondi mi strappa i miei pantaloncini, Gimondi... Pezzi, al Giro, lo lascia a casa. Pezzi, al Tour, lo lascia a casa. Pezzi, a fine stagione, lo lascia a spasso. Tista ne ha abbastanza. Ma Romano Cenni lo vuole alla Germanvox nel 1967. Ottavo al Laigueglia, un terzo di tappa dietro a Rik Van Looy e a Tom Simpson al Giro di Sardegna, la verità è che ha vinto lui, tant’è che è lo stesso Simpson a rivolgersi alla giuria per contestare l’arrivo ufficiale e assegnare la vittoria a Monti. Tista ne ha abbastanza. Ma Cenni insiste e lo vuole alla Germanvox anche nel 1968. Dopo la Milano-Vignola e prima del Giro d’Italia, Tista scende dalla bici. Viene assunto in Comune: prima becchino, poi stradino. Sì, meglio lo stradino che il becchino. Il richiamo dell’aria e dell’asfalto. Sì, meglio lo stradino dello stradista. Nessuno che ti dica devi fare questo e quello, devi spingere e tirare, devi portare e sopportare chi si attacca e ti strappa i pantaloncini.
“Da dilettante era fortissimo – spiega Pierino Primavera -, ne ho visti pochissimi come lui. Neppure in allenamento riuscivamo a stargli dietro”. “Da professionista fu una meteora – ricorda Pietro Partesotti -, arrivò e scomparve”. “Ne parlavano molto bene – dice Roberto Poggiali -, ma rimasero solo le parole”. “Nelle battaglie e nei duelli fra Pedale Ravennate e Rinascita noi approfittavamo per cogliere le briciole – racconta Renato Laghi –. Monti era un cavallo pazzo, aveva numeri da campione, non la testa di un gregario”. “Tista si esiliò dal ciclismo – dice Salvatore Mongardi -. Solo un paio di volte accettò di essere invitato a pranzo dagli storici sponsor del Pedale Ravennate. Tutto bene finché non si cominciò a parlare di politica. E lui, di siistra, anzi, di estrema sinistra, ne aveva per tutti e non si fermava più”. “Pedalava con le gambe larghe, ma aveva un motore fuori norma – aggiunge Franco Gatti -. Collo corto, torace alla Coppi, sette litri d’aria: un fenomeno. Ma ogni tanto sgarrava, capace, da solo, di divorare un salame o un cocomero interi, o di trangugiare un vassoio di gelato. Il mondo del ciclismo, anzi, il mondo in generale gli andava stretto. Ogni occasione era buona per mettere le cose in chiaro. O in polemica. O in rissa”.
Gli ultimi anni Battista Monti detto Tista, pensionato ed esiliato, si è come spento, forse confuso, chissà, fra i suoi ricordi, le sue vittorie, le sue polemiche, le sue risse, il suo cuore grande così.
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