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Impasta e imposta: farina, acqua e lievito. Spiana e compone: sale, olio e pomodoro. Arricchisce e personalizza: mozzarella, capperi e alici. E ben altro. Dipende. Dalla richiesta, dall’ispirazione, dalla carta, dalla stagione. Poi inforna e sorveglia, estrae e serve. Pizze. A regola d’arte.
Il pizzaiolo artista è Fortunato Baliani. Lui, sedici anni da professionista, ma nel ciclismo. Lui, tredici vittorie, ma in tre continenti, dal Sudamerica all’Europa, soprattutto in Oriente, con due Tour of Japan e due Tour de Kumano. Lui, che in salita ci provava, si alzava, e a volte decollava.
Baliani, lo scalatore pizzaiolo. Quarantotto anni, umbro di Foligno, adesso regna a Mercatello di Castel Ritaldi, fra Spoleto e Foligno, nella pizzeria bar Il Palio. Così come faceva in bici, continua a sbizzarrirsi, a creare, a improvvisare, a sorprendere. Dalla pizza trevana, nel senso della vicina Trevi (fior di latte, fiocchi di gorgonzola, sedano e salsiccia) alla tre stagioni (guanciale, salamino piccante, friarelli e salsiccia), da mangiare lì o da portare via, con i vini locali o le birre straniere.
Lui è identico a com’era quando correva per le squadre di Reverberi o di Savio: asciutto e deciso, pimpante e coraggioso, fantasioso e arrampicatore. Con il ciclismo professionistico ha chiuso (“La mia ultima stagione fu il 2014, ma sembra già passata un’era”), con quello amatoriale mai (“Esco quando posso, cioè spesso, da solo o con gli amici, due-tre ore, dipende dai giorni, dal tempo e dal meteo”), più strada che sentieri (“Cerco il silenzio, la natura, cerco la tranquillità, la pace, cerco soprattutto me stesso”), trova energie e idee (“La bici ha questo potere magico”). Ha ancora contatti con i giapponesi (“Quelle vittorie mi resero popolare, mi cercano, mi vogliono, la pandemia mi ha bloccato ma tornerò là – diciamo così - come testimone e ambasciatore”).
Intanto Fortunato lavora con la sorella Roberta, che sembra avere la sua stessa carica: “Proponiamo ingredienti a chilometro zero, una triplice lievitazione per garantire la massima digeribilità, e poi interpretazioni un po’ diverse dagli altri. Si lavora sodo, con grande soddisfazione”. Sulle pareti, chi cercasse reliquie agonistiche, rimarrebbe deluso: non ci sono le maglie di scalatore, neanche quella del Giro d’Italia, non ci sono le maglie da leader, neanche quella del Brixia Tour, non ci sono trofei, neanche quello riservato al primo nelle fughe sempre al Giro d’Italia. “Forse il riconoscimento di cui sono più orgoglioso è il mio nome scolpito sulla pietra in cima al Pordoi, dove passai primo nel 2006, dal versante di Canazei”. Ma quella pietra, dove Fortunato è immortalato con Bartali e Coppi, affiancato a Robic e Koblet, confrontato con Taccone e Bitossi, accompagnato da Fignon e Chiappucci, illustrato da Indurain e Cunego, è destinata a rimanere là. Per sempre.