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Chiesero aiuto a Fausto Coppi. Il Campionissimo aveva già firmato per la Bianchi, e come corridore non poteva accettare, ma come sponsor sì, e allora sistemò lì un po’ di corridori conosciuti e apprezzati, amici capitani come lo svizzero Hugo Koblet e il belga Willy Vannitsen, stimati gregari come Michele Gismondi e Stefano Gaggero, Idrio Bui e Riccardo Filippi, inoltre rifornì la squadra con le sue biciclette. Fu così che nacque la Ghigi-Coppi, anche se sulle maglie bianche con bordini giallorossi – forse in segno di rispetto - figurava come Coppi-Ghigi. Era il 1958.
Sono passati 64 anni, ma l’amore non passa mai. Amore per il ciclismo, amore per Coppi, amore per le storie di corse e corridori. E domani alle 18, nella Sagra dell’arachide & del pop-corn, a Mezzogoro, nel Ferrarese, a ingresso libero, si parlerà della Ghigi, il pastificio romagnolo di Morciano che per cinque anni, dal 1958 al 1962, pedalò nel mondo dei professionisti e che, sciogliendosi, avrebbe dato vita addirittura alla Salvarani di Adorni e Gimondi, Zandegù e Basso, Motta e Zilioli, Ronchini e Minieri, Taccone e Partesotti... Stavolta, a rinfrescare la memoria e rallegrare gli spiriti, saranno in mostra l’ammiraglia della Ghigi e un patrimonio di memorabilia (maglie, bici...) ereditate da Fausto Pezzi, il figlio di Luciano che per tre anni guidò la squadra, e saranno intervistati alcuni corridori della Bardiani, che vanta proprio la Ghigi fra gli altri sponsor della formazione.
La Ghigi era quella che, Giro d’Italia 1958, pronti via col botto, prima tappa, la Milano-Varese di 178 km, conquistò tappa e maglia proprio con Vannitsen e salvò la sua partecipazione, anche perché poi combinò poco o niente. E pensare che quello era il regno di Giovanni Borghi, il patron dell’Ignis, che però si rifece il giorno dopo con un’altra doppietta, stavolta firmata a cronometro da Ercole Baldini. La Ghigi era quella di Italo Mazzacurati, gregario specializzato negli assalti a fontane e bar, una volta ne uscì pieno di bottiglie di chinotti e aranciate, ma la bici non c’era più, l’aveva messa già in posizione per ripartire, come un cavallo per un cowboy, ma a fare il cowboy era stato il proprietario del bar. La Ghigi era quella di Angiolino Piscaglia, gregario che si era già distinto guadagnandosi la maglia nera virtuale di ultimo in classifica al Giro d’Italia, in premio aveva ricevuto un buono per trascorrere due settimane di vacanza a Forte dei Marmi, e quelle furono le prime vacanze – perdipiù pagate - della sua vita. La Ghigi era quella di Livio Trapè, che al Giro di Lombardia 1962 passò per primo in cima al Muro di Sormano, senza scendere dalla bicicletta e senza invocare e ricevere spinte dai tifosi, ma sul traguardo del Vigorelli dovette cedere all’olandese Jo de Roo, ex pattinatore su ghiaccio. La Ghigi era quella che nel 1962 vinse il campionato italiano a squadre, eppure lo scudetto non lo mostrò mai, perché si sarebbe ritirata dalle corse.
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