Non sappiamo se di anni di solitudine ne avremo altri 100, oltre quelli che andiamo da tempo incommensurabile accumulando vivendo con il disagio di una spora.
Ma questi «100 anni di ciclismo a Maddaloni» di Angelo Letizia e Amedeo Marzaioli - PPG editore, Maddaloni, pag. 130, 10 euro - che potete dai primi di febbraio trovare o richiedere in libreria, sono l’unico plausibile elisir di lunga vita che sentimentalmente riconosciamo. (E il cui antidoto teniamo segreto).
Un secolo di biciclette, in una cittadina del Sud, Terra di Lavoro, prima e più che Campania e Terra dei Fuochi, indenne dalla Grande Città di mare/male... E mica volete che sia modesto tutto questo documentario, questo album, parole giuste oltre 150 foto che sono pensieri, che si propone, quando invece esso si erge infinitamente a spaccato locale sociale e culturale - civile in assoluto, molto prima che sportivo - di un microcosmo, come è stato in Italia, a cavallo dei tempi della Guerra una e dei dopoguerra due - un sandwich -, la rivoluzione e il futuro rappresentati dal ciclismo.
Maddaloni, ed è casa nostra, e guai a non fare leggere questo libro a scuola solo perché vi si nomina la parola “podestà”, o l’aggettivo “littorio”, e lo ribadiamo noi uomini di una sinistra non destra...
Maddaloni, per mano di Angelo Letizia e Angelo Marzaioli, che non hanno bisogno certo del nostro contributo per essere in tandem i Primi Cittadini di questo comune, narra qui una sua epica romantica ed edificante, grazie dunque alla liberatoria equa del ciclismo.
Fortemente ignoranti, ci siamo noi re-innamorati del Giro dei Tre Mari del suo esordio, 1920, e di Pasquale Fornara nel suo remake, 1949, e di un velodromo Cappuccini dove andava in onda come un Disco per l’Estate il refrain Giovinezza, 1930, nella chiave di una straordinaria ricerca di archivio e ritagli di giornale, incantevoli emeroteche, e dove fra un maddalonese Bove e un volitivo Nisci gareggiavano Girardengo e Binda. Diciamo, a tutta pagina, non lo leggerete sul quotidiano di domani, ma su quello di sempre, Costante Girardengo e Alfredo Binda, mica un Ronaldo, sia pure Cristiano, in campo.
Già, quel Binda che non correva al Giro, perché considerato troppo forte per chiunque avversario, ma che a Maddaloni nel 1930, era il Gran Signore.
100 anni di ciclismo a Maddaloni, 1920 - 2020, e che belle immagini recuperate di bici senza il doppio plateaux in questo testo, e quali dinastie familiari che si inseguono prima di procedere a braccetto, paghe del confronto e del tempo - Santonastaso, Delli Paoli, Carfora, Di Nuzzo, Renga, Liguori..., e quanto coraggio infine nell’approdo agli ultimi decenni, i più difficili, i più acri, un destino ancora in sella, o nel divenire estremo di una bicicletta.
E la traslazione moderna del ciclismo, qui a Maddaloni, e in queste pagine, recita a tutta voce la saga dei Marzaioli, una Chanson de Geste nella quale è superfluo ogni crisma di scudetto, tanto ne è ideale il carisma, dal capostipite Domenico ad Alberto, ad Amedeo, ad Enzo, così come la certosina letterale passione dei Letizia, così come - ed è assolutamente religioso nominarlo ultimo - la passione laboriosa, il ciclismo applicato all’opera, di don Salvatore D’Angelo, e il suo Villaggio dei Ragazzi.
100 anni di ciclismo a Maddaloni, e vi ritroverete certo la modernità del Giro e della Tirreno - Adriatico, di Moser, Hinault, Rominger, Petacchi et alii, Moreni e Cipollini bagnati e inclusi, fino al felice Giro in Rosa del 2020, con lo sprint della Kopecky e la Van Vleuten ferita: e via, concediamocela alla fine di un dettato così platonico l’inserimento di questa parola agonistica, «sprint». Ma resti ben chiaro l’incipit di questo nostro pensiero.
L’ieri, l’altro ieri, di questa storia dovrete leggerlo, per comprendere in fondo questa lezione di umanità coniugata allo sport, fino a domani. Fino a dopodomani, per guadagnare, senza temere un secolo altro di solitudine, una soave compagnia di cuore.
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