E' scomparso l' altro giorno, 17 febbraio, un ciclista belga, Andrè Messelis, il cui nome può non dire niente, mica un grande campione, neppure un campione, anzi. Ma che pure dalla mente nostra non va via.
Squadra 'Mann', prima era 'Groene Leeuw', qualche semiclassica vinta, il Gran Premio di Harelbeke e il Campionato delle Fiandre, nel '62, qualche Tour de France, un paio di volte la Vuelta Espana, una, nel 1961, indossando per qualche giorno la maglia 'amarillo'... Niente di speciale e di non ripetibile, un ciclista fiammingo, testa nelle spalle e pedala, disperso negli ordini di arrivo.
E un Giro d'Italia, quello del 1966. Dalla mente nostra, Andrè Messelis non andrà mai via. E' la Napoli - Campobasso, la 9a tappa. La vincerà l'inglese Vic Denson, un gregario di Anquetil, con un minuto scarso di vantaggio sul secondo, il nostro Toni Bailetti. E terzo, ad 1'40", arriverà proprio Andrè Messelis. Con il gruppo dei migliori che avrà oltre dieci minuti di ritardo.
Ricordiamo, il bianco e nero, la cronaca televisiva, e la figura di Andrè Messelis china sul manubrio, a pedalare, sospesa sui rettilinei fra i primi due già lontani, e il lontanissimo plotone indietro. E la domanda del telecronista a qualcuno importante sul palco, era Gino Bartali, “ma chi glielo fa fare a continuare ad impegnarsi tanto, a Messelis, nell'inseguimento?”.
E la risposta di Bartali, “lo fa, perchè è un ciclista vero, perchè nel ciclismo ogni giorno, se si è veri, insegnatelo ai giovani, non si insegue solo la vittoria, si insegue noi stessi”. Andrè Messelis ci sarebbe riuscito.
E' morto il 17 febbraio, infatti, il giorno stesso in cui era nato, nel 1931.