Se ne potrebbe fare un altro libro. Brevi racconti con Ernesto Colnago protagonista. E intitolarlo “L’importanza di chiamarsi Ernesto” (copiato da Oscar Wilde) o “Ernesto fa presto” (Luigi Meneghello nel secondo volume di “Le carte”: “Diego lo piego, Carlo non farlo, Clemente mi mente, Goffredo ti vedo, Ernesto fa presto, Martino cretino, Leonardo bastardo”). O, più semplicemente, “E compagnia bella”, come spesso dice lui per tagliare corto.
Due di queste storie. La prima è di Maria Paola Turcutto, azzurra di ciclismo e autrice del libro “Il ciclismo nel sangue” (Ediciclo). “Nel 1991 Colnago mi offrì un telaio per poter correre, una Colnago carbitubo con forcella dritta. Era un innovazione incredibile: bici in carbonio e questa forcella dritta. Ai tempi le usavamo io e Moreno Argentin, eravamo come extraterrestri. La bici poi era particolare perché al posto del tubo obliquo, ne aveva due! In quegli anni i telai erano tutti uguali e nessuno si azzardava a farne uno così diverso, fuori dagli schemi, rivoluzionario. Ma la cosa importante era che funzionasse e... andava benissimo; con quel telaio riuscii a smussare il mio handicap nello sprint, perché non ero molto veloce. Molto più reattiva, non aveva dispersioni nell’azione, per me era importante e mi aiutava quando dovevo scattare, e di scatti e controscatti ne ho fatti tanti. Con quella bici poi partecipai alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992. Finché un giorno, in una corsa a tappe in Francia, si scollarono i forcellini e assieme al tecnico della Nazionale Mario de Donà, al rientro in Italia, senza prendere appuntamento o telefonare piombammo nell’azienda di Colnago per vedere se lo poteva riparare. Tutta la squadra era stufa dei miei piagnistei per la bici rotta. Una bici l’avevo, ma era rotta! Piangevo come una bambina pensando: ora è tutto finito”. Intanto Turcutto entrò nello stabilimento cercando lui, Ernesto, certa che il Maestro non le avrebbe neppure parlato. “Cercando di qua e di là, lo trovammo intento a trafficare da solo in mezzo a un mare di bici. Quando finalmente ci vide, mi chiese come fosse andata. Incredibile: Colnago che si interessava delle nostre gare femminili. Ricordo di aver provato subito una simpatia immensa per un uomo che poteva reagire con spacconeria e arroganza e invece ci aveva accolto come se facessimo parte della sua stessa famiglia, con stima e ammirazione. Quando poi gli accennammo al problema della bici, se poteva ripararla, lui ci portò in un altro magazzino, cercò un po’, poi mi mise fra le mani un telaio nuovo. Insomma, mi regalò una bici nuova identica a quella che avevo”.
La seconda storia è di Ivan Cerioli, tricolore nelle giovanili, azzurro da dilettante, quattro anni da professionista. “Lunedì 16 giugno 2014, nel tardo pomeriggio, ricevetti una telefonata, il numero non era in rubrica e dopo qualche squillo risposi. Pronto. Dall’altra parte ‘ciao Ivan, volevo dirti bravo per l’articolo di oggi sulla Gazzetta dello Sport’, ‘Bene, grazie’ risposi, e aggiunsi ‘siccome non ho il tuo numero in rubrica, posso sapere chi sei?’. Dall’altra parte: ‘Sono Ernesto, Ernesto Colnago’. Pensai a un amico cazzuto e risposi: ‘Sì, bene, e io sono Giuseppe Saronni’. Silenzio. Poi il tipo continuò: ‘Non so perché ti ho chiamato, forse perché sto invecchiando, qualche anno fa non l'avrei fatto. Però volevo farti sapere che quello che fai con i bambini mi riempie il cuore di gioia’. Mentre ascoltavo, il mio pensiero era ‘ma chi mi sta pigliando per il culo?’. Terminò la chiamata dicendomi ‘ho avuto il tuo numero da Marco e spero di non averti disturbato, quando sei dalle mie zone passa a trovarmi, mi farebbe piacere conoscerti’. Con un forte dubbio risposi ‘ok, va bene, grazie’. Tempo zero, chiamai Marco Villa, l’unico Marco che poteva avere contatti con il Colnago: ‘Ciao Marco, hai dato per caso il mio numero di cellulare a Colnago?’. E lui: ‘No’. Ecco, ho pensato, presa per il culo riuscita. Poi, di notte, sempre nel dubbio, pensando a un altro possibile Marco, mi venne un flash: domani sento Marco Pastonesi, dai, ci può stare, ha scritto lui l’articolo. E Pastonesi mi confermò di aver dato il numero all’Ernesto. Poi ovviamente passai a trovare Colnago (come dimostra la foto...). Sapevo che un’occasione così non mi sarebbe mai più capitata”.
Chissà quante altre storie circolavano l’altro giorno alla Bocconi per i 90 anni di Colnago. Lì, fra i 400 in platea, Dino Zandegù si aggirava irrequieto. “Conosci qualcuno dei Benetton?”, mi ha domandato come se i Benetton fossero i miei vicini di casa. “Avrei una proposta”, mi ha spiegato, “cambiare il nome dell’uscita sull’autostrada Milano-Bergamo, da Cavenago Cambiago a Colnago Cambiago o a Cavenago Colnago. Perché metà di chi esce da lì poi va da lui”.
C’è qualcuno che conosce i Benetton?
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