Sulle strade del Gran Premio Liberazione sono passati tre quarti di secolo di grande ciclismo. Sul circuito romano si sono visti molti dei big che poi hanno scritto pagine storiche delle due ruote, ma non è assolutamente detto che tutti siano usciti vincitori dalla gara capitolina. E’ questo il bello, la sua incertezza che ne ha sempre fatto uno degli eventi più attesi. Ogni anno la gara ha dato vita a una storia, ha messo in mostra personaggi, alcuni magari hanno ballato una sola estate mentre alle loro spalle c’era chi ha fatto del ciclismo la sua vita.
Prendete ad esempio l’edizione del 1988. Forse una delle più ricche di stelle prima della rivoluzione ciclistica che dal 1996 avrebbe portato i pro’ alle Olimpiadi. Il Liberazione è in quegli anni, gli anni olimpici, la prova generale della sfida a cinque cerchi. L’anno precedente la nazionale russa aveva proiettato verso il successo Dimitri Konyshev davanti al tedesco ovest (il muro non era ancora caduto…) Bernd Groene. L’anno dopo la sfida si ripete, ma questa volta il teutonico (che poi vincerà l’argento a Seoul e avrà una breve carriera da professionista alla Telekom) la spunta e Konyshev finisce terzo, preceduto pure da un certo Mario Cipollini…
Qualche anno prima, nel 1985, un ragazzino monzese di nascita svizzera aveva fatto saltare il banco e sconvolto le tattiche delle squadre più affermate. Si chiamava Gianni Bugno, aveva viaggiato la notte in treno per arrivare in tempo, con la bicicletta vicino per non farsela rubare. La sua squadra aveva deciso di rinunciare alla corsa, non lui. S’infilò in una fuga ripresa pochi chilometri prima dell’arrivo ma poi seppe giocarsi la vittoria in una volata di una trentina di corridori. Quella fu la prima di una serie incredibile di successi, tra cui due titoli mondiali. Tra le squadre che rimasero beffate c’era quella di Luigi Orlandi, battuto allo sprint e per il quale aveva lavorato anche Claudio Terenzi, che 35 anni dopo sarebbe diventato l’organizzatore del GP Liberazione.
Se torniamo ancora più indietro, alla seconda parte degli anni Settanta, scopriamo che per qualche anno i corridori italiani furono quasi delle comparse. Non bastasse la presenza delle grandi nazionali dilettantistiche del blocco comunista, arrivarono anche Paesi che non avevano tradizione a dominare la scena, come la doppietta britannica realizzata da William Nickson nel 1976 e Bob Downs l’anno successivo. Allora il ciclismo britannico era un lontano parente di quello che abbiamo conosciuto in questo secolo, quello dei Wiggins e dei Froome, dei Thomas e dei Pidcock, furono due vittorie che sorpresero tutti perché al tempo il ciclismo non era certo lo sport più seguito nel Paese di Sua Maestà.
Qualche anno dopo le cose sarebbero cambiate. Nel 1992 ad esempio il podio fu tutto italiano, popolato da corridori che curiosamente avrebbero trovato però spazi diversi da quelli del professionismo, durato poche stagioni. Terzo fu Simone Biasci, grande speranza del tempo che dopo 7 vittorie da pro’ è diventato dirigente sportivo, secondo fu Mauro Bettin, approdato alla mtb dove ha raccolto grandi successi ed è diventato apprezzato manager, mentre a vincere fu Maurizio Solagna, che troverà la sua strada nelle granfondo.
Se uno guarda l’albo d’oro della corsa romana, scopre che molti campioni sono passati per il Liberazione incamerando sconfitte che poi sono servite per crescere. Francesco Moser fu terzo nel 1972, stesso piazzamento lo aveva ottenuto Pierino Gavazzi due anni prima, Michael Matthews, australiano della BikeExchange ha collezionato addirittura due piazze d’onore, nel 2009 e 2010, anno nel quale avrebbe poi vinto il mondiale U23. L’attuale campione europeo Sonny Colbrelli fu terzo nel 2011, Alberto Bettiol trionfatore al Fiandre fu sempre terzo nel 2013. Due piazze d’onore anche per Simone Consonni (2014 e 2015), uno dei quattro olimpionici di Tokyo 2020 nell’inseguimento a squadre. Si sarebbe quasi portati a pensare che perdere il Liberazione porta bene…
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