Giro d’Italia 1969. Seconda tappa, la Brescia-Mirandola, 180 chilometri piatti. Via una fuga. Dentro corridori buoni, come Bitossi, Paolini, Ritter, De Rosso. C’è anche la maglia rosa Polidori. “Ai meno cinque scatto, attacco, ci provo. Da solo. Guadagno. Ai meno quattro mi giro e vedo un solo corridore che mi insegue. Ci credo. Mi sembra di volare. Ai meno tre mi scoppia un tubolare e atterro. Né ammiraglia, né cambio-ruote, niente di niente. Arrivo, ma fra gli ultimi”.
Da più di mezzo secolo, ormai, Aldo Balasso abita nel dubbio: se non gli fosse scoppiato il tubolare, se avesse resistito all’inseguimento, se quel giorno avesse vinto lui e non Davide Boifava, forse la vita gli sarebbe cambiata, o forse no, ma certamente si sarebbe arricchita di una vittoria, di un’impresa, di una prodezza da raccontare. Adesso, che pedala verso gli 80 anni (li compirà il 1° marzo), scopre di avere avuto, comunque, tanto altro. E scopre di essere, comunque, felice.
All’origine, Balasso, vicentino di Montecchio Precalcino: “Papà contadino, mamma universale, cinque fratelli e una sorella più altri due fratelli morti, uno da ragazzo, l’altro da neonato, io il penultimo dei sei. Ma si viveva insieme con un’altra famiglia, quella di mio zio, totale 16, e la tavola era una mensa. Quinta elementare e poi nei campi, ma già prima al lavoro. Quando ero in quarta, mi svegliavo alle quattro e dovevo mungere sette o otto bestie prima di lavarmi le mani e andare a scuola”. Il cittadino più illustre di Montecchio Precalcino abitava porta a porta con la zia: “Sante Carollo, maglia nera al Giro d’Italia del 1949. Primo Coppi, davanti a Bartali, ultimo Carollo, dopo Malabrocca. Era un uomo possente, tranquillo, disponibile. Muratore, aveva una piccola ditta edile. Mi ricordo che, a domanda, rispondeva raccontando di quando, per arrivare ultimi, si nascondevano nelle case o si fingevano vittime di incidenti meccanici”.
Strada facendo, Balasso, veronese e poi mantovano: “Vita dura, dopo la guerra. Si lavorava a mezzadria. E in mezzo al niente. Mio padre ottenne un pezzo di terra lontano quattro chilometri e mezzo da Sorgà, che aveva 600 abitanti. Quando le condizioni peggiorarono, ci spostammo a Canédole di Roverbella. La prima e unica bici comparsa in famiglia fu acquistata da mio fratello con i soldi in più che guadagnava ammazzando i maiali d’inverno. Era una vecchia Stella, ma ci sembrava una Bianchi nuova. Siccome mio fratello non riusciva ad allenarsi per tutto il lavoro che aveva da fare, e siccome mio padre non concepiva che tanto lusso rimanesse fermo, mi diede il permesso di provarci. Allora si pensava che solo la bicicletta potesse farci uscire dalla povertà”.
Aveva 16 anni, Balasso, quando andò – in bici, ovviamente - a Mantova per ottenere la prima tessera di corridore: “Da Spartaco Boselli, che lavorava come capo nell’ufficio del dazio. Squadra: Ozo Learco Guerra. Maglia: rossa con la fascia bianca. Bici: una Learco Guerra consegnata da Learco Guerra in persona. Ci andai con il mio compaesano Luigi Roncaglia. Lui si dedicò di più alla pista, io soltanto alla strada. Non sapevamo niente: niente di allenamenti, ci si allenava quando si poteva, niente di alimentazione, si mangiava quello che c’era, niente di medicina sportiva, si andava a pane e acqua, solo al mio primo Giro d’Italia presi per la prima volta la vitamina B12. La prima corsa proprio a Montecchio Precalcino: ci andai con Roncaglia e mio cugino, 100 chilometri ad andare, in bici, il giorno dopo 85 chilometri di gara, un circuito con la salita del cimitero, il giorno dopo ancora altri 100 chilometri per tornare a casa”.
Gli anni delle corse sono corsi via così di corsa: “Alla Europhon, con Pelizzoni e Vicentini. Poi alla Bober, dove c’erano stati anche Dancelli, Anni e Campagnari. Poi alla Bovis, con Cortinovis e Levati. La prima vittoria nel Basso Cremonese: forai, Pelizzoni mi passò la ruota, rimontai, ero così adrenalinico che li doppiai tutti e vinsi da solo. La seconda vittoria nel Bresciano, sempre andando e tornando in bici, fuga a tre, vinsi in volata su Dancelli e Scandelli. Vinsi corse a tappe, come il Giro del Piemonte, e in linea, come il Trofeo De Gasperi e la Milano-Bologna. Vinsi anche all’estero, come a Zurigo. Ma da dilettante ero più un secondo che un primo: 72 volte secondo e 47 volte primo. E tre volte feci i Mondiali: nel 1965 in Spagna a San Sebastian, nel 1966 in Germania al Nurburgring e nel 1967 in Olanda vicino a Valkenburg. E pensare che cinque giorni prima del Mondiale a San Sebastian, sullo stesso percorso, avevo vinto la premondiale arrivando da solo”.
(fine della prima puntata – continua)
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