È stata una grande estate azzurra, azzurrissima, anche per noi del ciclismo che abbiamo applaudito i quattro moschettieri di Marco Villa, il trenino dorato di Tokyo, i “fab four” dell’inseguimento a squadre, il nostro frecciarossa, pardon, frecciazzurra che non solo arriva sempre in orario, ma possibilmente prima di tutti gli altri, anche se di poco, ma in anticipo. Ne sanno qualcosa i danesi che già pregustavano il successo.
Filippo Ganna, Francesco Lamon, Simone Consonni e Jonathan Milan, sono loro i favolosi quattro, i Beatles dei tondini, che non suonano Yesterday, ma li suonano adesso, per restare quanto gli scarafaggi di Liverpool nella storia.
Musica leggerissima, in questa estate italiana, fatta di pallone e sprint senza respiro, di ragazzi di Mancini e accelerazioni di Marcell Jacobs e Tortu, ma anche di questi magnifici ragazzi, trascinati da un mostruoso, incontenibile Filippo Ganna. E dietro a loro, come un Roberto Mancini qualsiasi, Marco Villa, quel piccolo grande amore italiano, per rimanere sempre in ambito musical popolare. Quel piccolo grande uomo che da anni con impegno e passione lavora lontano dai riflettori, ma oggi nella luce ci va senza nemmeno andare a cercarla. Ma con lui è giusto ricordare anche chi questi Giochi li ha preparati e portati a compimento, Renato Di Rocco e Davide Cassani. Lo so, la mia è un’osservazione tanto banale quanto scontata, ma non è così. Con tutto il bene che voglio a Cordiano Dagnoni che, sono certo, saprà dare sotto la sua presidenza un’impronta e un piglio diverso e nuovo a tutta la struttura federale, è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare: che è chiaramente di Marco e Dino e via elencando, ma anche di Renato e Davide e via discorrendo.
E SE FOSSE CASSANI? Sarà per via del solleone, ma temo di ripetermi, di dire cose già dette e per questo mi scuso con voi tutti in anticipo. Ma non posso fare altrimenti, anche dopo essermi confrontato con diverse personalità del ciclismo, ad incominciare da Beppe Saronni, uno dei più grandi interpreti del ciclismo moderno, caro amico da anni.
L’interrogativo è il solito: ma era proprio una priorità cambiare il Ct? Davvero il ciclismo aveva l’esigenza-urgenza di sostituire Davide Cassani? Non credo. Nessuno è insostituibile, soprattutto dopo due cicli olimpici, ma forse era opportuno, se non proprio necessario, avere meno fretta. Come ha ben spiegato in un nostro podcast l’iridato di Goodwood Beppe Saronni c’era da gettare basi, capire quale strada intraprendere, fare una squadra di eccellenze che possano essere appunto quel “think tank”, quel laboratorio di idee, quel gabinetto strategico o gruppo di riflessione capace di consigliare per varare il nuovo corso della Federazione targata Cordiano Dagnoni.
Il nuovo presidente federale, come ho avuto già modo di dire e scrivere, ha tutto il diritto di cambiare e fare la propria squadra, ma una figura fondamentale del suo nuovo corso, la prima pietra l’ha già posta: Roberto Amadio. Un manager, un coordinatore generale che in pratica ha già preso il posto di Davide Cassani, al quale poteva essere lasciato ancora, almeno per un anno, il ruolo di Ct azzurro, in attesa di avere le idee più chiare. Invece sono in corso le consultazioni, con i nomi di Maurizio Fondriest e Filippo Pozzato su tutti, con Matteo Tosatto, Fabio Baldato, Stefano Zanini e Franco Pellizotti che potrebbero essere da supporto, aiuto o spalla, sempre che non si torni a pensare ad un Ct a gettone, con Davide Bramati in pole, o a un Roberto Amadio che potrebbe in ogni caso assolvere più che dignitosamente anche questo ruolo: perché no? A meno che non si ripensi a Cassani, uomo delle istituzioni e dell’imprenditoria italiana, uomo immagine e per questo ideale per svolgere ancora un po’ il ruolo di Ct in coppia con lo stesso Amadio o con chi sarà chiamato a prendere il suo posto. I nostri vecchi solevano dire che la fretta fa i gattini ciechi, forse è il caso di avere un po’ più di pazienza. Di visione.
Editoriale da tuttoBICI di settembre