Moriva centocinque anni fa. Era la mattina del 6 agosto 1916. Accadeva nei dintorni di Monfalcone, in una trincea rimasta sguarnita. Un soldato irregolare del terzo Battaglione dei bersaglieri ciclisti, già privo di una gamba, veniva crivellato dalle mitragliatrici degli austriaci e moriva. Sette settimane più tardi, sulla copertina della “Domenica del Corriere”, sarebbe stato immortalato in piedi mentre lanciava la stampella contro il nemico. Lui: Enrico Toti. Un eroe, una leggenda, un mito.
Enrico Toti, 20 agosto 1882, romano del rione Monti. Il padre, Nicola, un ebanista originario di Cassino. La madre, Semira, una casalinga di Palestrina. A scuola una gran passione per la storia, per i romanzi di Jules Verne, per le avventure di Michele Strogoff. A 14 anni in Marina, allievo di una scuola specialistica a Napoli. A 17 anni sull’“Emanuele Filiberto”, come torpediniere elettricista di prima classe. A 23 anni congedato a causa della morte del fratello Ernesto. E allora lo sport come sfogo, come bisogno, come felicità. Nuoto e tuffi, nel Tevere. E ciclismo. Con tanto di due diplomi, il primo a La Spezia, nel 1903, con la squadra navale, il secondo a Napoli, nel 1904, in una “gara di lentezza”, una prova molto più difficile di quello che si possa immaginare. E, come tutti, il calcio. Per campare, fuochista nelle Ferrovie. Ed è qui che successe la disgrazia. Il 2 marzo 1908, alla stazione di Colleferro-Segni-Paliano, mentre oliava una locomotiva, fu investito da una macchina messa in moto da un collega e accoppiata alla sua, cadde sotto le ruote e le ruote gli sfracellarono la gamba sinistra. Ai medici non rimase che amputargli la gamba a metà coscia.
Toti, alla bicicletta, non rinunciò. Se ne costruì una su misura, un solo pedale e il manubrio a corna di bue, e con questa “macchina” (a quel tempo le bici si chiamavano così), partecipò alla Roma-Bracciano-Roma. Una specie di prova generale. Perché il suo progetto era molto più ampio, avventuroso, visionario: il giro del mondo in bicicletta. Ci provò, quasi ci riuscì. Il primo viaggio cominciò il 1° ottobre 1911, partenza da Roma, direzione nord, prima a Milano, poi a Genova, quindi a Parigi, campando come caricaturista e ritrattista, ma anche come cameriere, e vendendo cartoline autografate. Poi Belgio, Olanda, Germania. Ancora Finlandia e Russia, fino a Mosca, il 29 maggio, forse salendo su un treno. Poi tornò indietro. Bici e treno. Il 12 giugno era a Roma, accolto da amici e parenti. Otto mesi, 8800 chilometri documentati, forse in tutto 10mila.
Il secondo viaggio in bicicletta risale al 1913. Partenza da Roma, direzione sud. Prima a Napoli, poi ad Alessandria d’Egitto su un piroscafo, in bici al Cairo, in bici risalendo il Nilo, finché in bici in Sudan venne fermato dagli inglesi colonialisti e costretto a tornare indietro. Quando scoppiò la Prima guerra mondiale, Toti raggiunse da clandestino la zona di guerra in Friuli e ottenne di essere aggregato nelle retrovie in qualità di porta-ordini. Sperava di essere il primo italiano a portare la bandiera italiana nella Trieste italiana, la Trieste liberata. Lui e la bici, lui e la sua bici, un tutt’uno. E in sella alla bici faceva il ricognitore per rubare informazioni sulle postazioni nemiche. Fu così che la mattina del 6 agosto 1916, in una trincea rimasta sguarnita nei dintorni di Monfalcone, morì crivellato dalle mitragliatrici degli austriaci.
A Enrico Toti è dedicata la mia puntata di Wikiradio (Rai Radio 3, oggi alle 14, poi in podcast). Un uomo, un viaggiatore, un eroe a una gamba e a due ruote.
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