Questa non è la recensione di un libro, come vorrebbe essere, ma la storia di un amore. L’amore fra un uomo e una bici. Anzi, no. L’amore fra un uomo e la bici. Anzi, no. L’amore fra un uomo e le bici.
L’uomo è Renato Bulfon. Friulano di Mortegliano, fisico da schiacciatore, età da bocciatore, velleità da scalatore (l’altro giorno gli ho telefonato mentre si spolmonava – a orecchio: la pedalata era più quadrata che rotonda - sul Matajur). Nel paese del campanile più alto d’Italia Bulfon è un personaggio, un’istituzione, un’autorità: il punto di riferimento, pratico e meccanico, ma anche spirituale e culturale, tecnico e teorico, ma anche sentimentale e storico, per tutti quelli che hanno una bicicletta da acquistare o restaurare, da aggiustare o elaborare, da lubrificare o assemblare, anche da valutare o diagnosticare.
Renato è la persona adatta, giusta, ideale. Lui, le bici, le squadra e inquadra, le conosce e riconosce, le guarisce e rinvigorisce, sono quasi certo che – finalmente soli – lui, a loro, rivolga parole e regali carezze. Insomma, un sacerdote medico psicologo e molto altro.
Fra bici nuove (poche, in questo periodo in cui i cinesi si sono accaparrati le materie prime e ora dettano le regole del mercato centellinando i pezzi e triplicando i prezzi) e bici vecchie, Renato trascorre giornate rotonde, radiose, raggianti. Le bici – anche di questo sono quasi certo – si confessano, si confidano, si raccontano, e Renato le prepara a una nuova vita. Per le più giovani c’è ancora tanta strada da fare, per le meno giovani, volendo, c’è la possibilità di rimanere lì da lui a soggiornare, abitare, ricordare, tramandare, vivere. Tutte insieme. Bici d’acciaio e di carbonio, bici da strada e da pista, bici di campioni e di gregari. Bici. E poi anche maglie e marchi, borracce e manifesti, giornali e coppe. Un mondo, il mondo delle bici e il mondo del ciclismo, che poi è lo stesso mondo, un mondo a pedali. Il fantastico mondo di Renato Bulfon.
Mesi fa, quando ha telefonato per chiedermi un’introduzione al suo libro, mi è sembrato il minimo proporgli un’introduzione per ogni capitolo del libro. A Renato non sembrava vero poter ricevere un po’ di voci del verbo pedalare, tanto che le voci sono diventate un coro, ma anche a me non sembrava vero potergli offrire qualche riga fra tanti cerchi. E così righe e cerchi si sono abbinati, combinati, sposati e spostati per raccontare la storia d’amore fra un uomo e le bici. Come tutte le storie d’amore, anche questa fra Bulfon e le bici ha la sua complessità. La psicanalisi potrebbe spiegare la voglia di possesso, la necessità di proprietà, il desiderio di collezionare, la cura del particolare. Io ci vedo la ricerca di uno storico, la curiosità di un archeologo, lo spirito di un geografo, la cognizione di un bibliotecario. Che poi l’oggetto siano le bici, è questo a rendere Bulfon così leggero e profondo, così terrestre e aeronautico, così ciclicamente innamorato.
Ecco: si intitola “Ciclismo, passione mia” (Alba edizioni, 192 pagine, prezzo non indicato): le biciclette sono di Renato Bulfon, le parole mie. E’ un libro da guardare e leggere, è un libro da pedalare in surplace.
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