Velocipedi. La scritta, tutta maiuscolo, blu, stinta, corrosa, resistente, ancora visibile. Velocipedi. Era il 1919 quando Umberto Gemmati aprì un’officina di riparazioni e un negozio di vendita, dal marchio Dei a quelli originali Gemmati e Iride. Velocipedi. A Teglio Veneto, ma friulano di lingua, a due pedalate da Portogruaro.
E’, questo edificio a due piani – pianterreno e primo -, una macchina del tempo. E macchina si definiva il velocipede un secolo fa. Di Gemmati e Iride se n’è già scritto, ovviamente: per dirne due, Lorenzo Franzetti su “Cycle!”, nel 2014, e Franco Bortuzzo, su Tuttobicitech, nel 2015 (https://www.tuttobicitech.it/article/78971). Ritrovo, in quelle pagine, la stessa atmosfera novecentesca in bianco e nero se non seppia, lo stesso profumo di metalli limati, catene oliate, camere gonfiate, gli stessi giochi di luci, ombre, pulviscolo, tutto impreziosito e solennizzato da altri sei-sette anni di elaborazioni, semplificazioni, lubrificazioni. Qui non si smette di creare e aggiustare, regolare e montare, saldare e registrare.
Carlo Gemmati è il nipote di Umberto. Non cambierà quella scritta, Velocipedi, neanche a morire. Lo proclama con quel suo tono da burbero buono, da selvatico meccanico, da anarchico sopravvissuto. All’apice dell’attività, qui lavoravano in un’ottantina. Adesso, lui e altri due, totale tre. E lo farebbero con maggiore speditezza se non mancassero materie prime, componenti, ricambi. Un accaparramento speculativo (i cinesi) che ha paralizzato la produzione, bloccato il mercato, triplicato i prezzi. E’ l’altra faccia della pandemia. Una bici nuova? Ci vogliono sei mesi. Altro che bonus, altro che incentivi, altro che sconti. E pedalare. Che non è un’esortazione, ma una rassegnazione.
L’ingresso, gli uffici, le scale, le biciclette che pendono verticali. E l’officina, fra bici parcheggiate, ruote accatastate, manubri allineati, banconi effervescenti, cannelli incandescenti. Qui sono nate le prime forcelle anteriori diritte. Qui è nata la prima city bike. Qui c’è un’Iride cavalcata da Fausto Coppi al velodromo di Portogruaro. Qui regna il silenzio, il silenzio è il suono della perfezione in un ingranaggio, in un movimento, in un’azione. E poi la stufa, e poi le coppe, e poi le foto. E poi i ricordi, e poi le storie, e poi i racconti.
“Un giorno piombò qui un signore su una moto – racconta Carlo Gemmati -. Proponeva di trasformare i locali in un punto di vendta di pneumatici. Pneumatici per automobili. Mio nonno gli rispose che non era il caso, che qui si trattavano velocipedi, nel senso delle biciclette. Ma quello insisteva. Mio nonno si spazientì: la legge, la scritta?, Velocipedi, non automobili, e noi continueremo a fare quelli. Non avrebbe cambiato idea neanche sapendo che quell’uomo su una moto era Leopoldo Pirelli in persona”.
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