Da bambino, in bicicletta, sorridente, un piede a terra, l’altro sul pedale. Da ragazzo, in piedi, felice, una coppa stretta con la mano sinistra, il giorno della sua prima vittoria, era il 1° ottobre 1961. Da professionista, a terra, caduto e soccorso, il Fiandre del 1966. Da campione, nella bufera, sulle Tre Cime di Lavaredo, al Giro d’Italia del 1967. Da campione del mondo, con Vittorio Adorni che finge di strappargli la maglia iridata, e andò proprio così, era la primavera del 1968. Da atleta a uomo, di spalle, con la maglia gialla, il dorsale numero 1, simbolo di un tramonto, di un addio, di una nuova fase della vita.
“Eddy Merckx”. Semplicemente così. Un libriccino orizzontale, il catalogo di una mostra che risale al 2015, per i settant’anni sia di Merckx sia del suo amico Jacky Ickx, a Bruxelles, pubblicato dall’Editions Cannibale/Pièce Montée. Foto di famiglia e popolo, foto di corse e corridori, foto di Tour e Giro, Milano-Sanremo e Parigi-Roubaix, vittorie e trionfi, ma anche rare crisi e sconfitte. Foto di un ciclismo – quello degli anni Sessanta e Settanta – di una bellezza selvaggia (le salite, la folla, le sfide), di un dualismo facile (non solo fra Merckx e Gimondi, ma anche fra Merckx e Ocana, però sarebbe più giusto dire Merckx contro tutti), di una solitudine inevitabile (la solitudine del più forte). Foto che spingono alla sorpresa, alla nostalgia, alla passione.
Merckx – se ne parla spesso in queste settimane di Tour de France, le 34 vittorie di tappa eguagliate da Mark Cavendish, il valore delle vittorie – era una stella che brillava di giorno, un motore che centrifugava i pedali, una voglia che non si estingueva mai. Quanta gratitudine nell’abbraccio con il gregario Jos Huysmans dopo la quinta vittoria alla Milano-Sanremo. Quanto rispetto nella mano tesa verso Papa Paolo VI al Giro del 1974. Quanta sofferenza nel corpo steso su una panca dopo il pugno al fegato subito al Tour del 1975. Quanta fatica, e forse anche quanta impotenza nello sguardo all’Alpe d’Huez al Tour del 1977. Quanta malinconia nell’appoggiare la bici al muro il giorno dell’ultima corsa, il circuito di Pays de Waes, il 19 marzo 1978 a Kemzeke, in Belgio. E quanta gente, un bagno, un tripudio, un’invasione, un oceano, nella Grand Place di Bruxells quando celebrò la sua prima vittoria al Tour.
Foto e didascalie, più maglie e ammiraglie, figurine e trofei, stavolta il testo è qui ridotto all’introduzione di Jan Maes e a due righe vergate dallo stesso Merckx: “Spero che questa edizione resti sempre un buon ricordo della vostra visita a questa mostra. Affettuosamente!”. Molto affettuosamente.
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