Cadono come mosche, si stanno ritirando tutti, finirà che vince l'ultimo rimasto in piedi, ma non c'è verso che molli lui, il tumefatto Vincenzo Nibali.
Siamo al punto che dovremmo alzarci in piedi e lanciare una standing ovation, tutti quanti insieme, i suoi tifosi adoranti e i suoi detrattori diffidenti, le due categorie che l'hanno sempre accompagnato in dieci e più anni di gloriosa carriera.
Non è questo il tempo di stare qui a dire se Nibali è più campione di questo o di quello, se ha vinto sempre con merito o qualche volta con fortuna, basta con le stucchevoli chiacchiere su un'epopea comunque strepitosa. Questo è un momento diverso, questo è il momento in cui non si sta a litigare con gli almanacchi in mano, con gli albi d'oro e i curriculum, per decidere su quale gradino della gloria debba stare Nibali. Ora, qui, a questo Giro, non conta più il campione: è il momento di riconoscere e applaudire l'uomo.
Se nessuno ha voglia di alzarsi in piedi, mi alzo io volentieri, anche da solo, proprio non me ne importa. Qua la mano, professore: complimenti per la lezione.
Stiamo uscendo da un Giro in cui si discute sanguinosamente sulle idee di vecchio e di nuovo ciclismo, sull'opportunità o l'errore di preparare percorsi più lievi, con meno altitudini, meno chilometraggi, e nel caso tagliando le montagne più belle nelle giornate più fredde. Di più: ci stiamo ad azzannare persino sull'atteggiamento lenone dei velocisti, che dopo aver timbrato il cartellino della vittoria tagliano tranquillamente la corda, alla faccia del Giro e della sua gente.
Eccoci qui, con tutto questo ciarpame di sofismi, di distinguo, di eccezioni, davanti a un campione che il Giro l'ha perso ancora prima di cominciare, rompendosi un polso in allenamento, e poi l'ha perso e straperso prendendosi sberle tutti i giorni, con l'accumulo di nuove cadute e nuove lastre in ospedale.
Non l'ha abbattuto niente. Persino dopo l'ultimo volo di Ala, quando davvero tutto lasciava pensare al ritiro come forma estrema di logica e di saggezza, persino stavolta non ha ceduto. Livido e segnato tale quale un cristoincroce si è portato alla partenza, come tutti i giorni, come se niente fosse, ed è andato di nuovo in corsa, a fare bene il suo mestiere, bene come gli è possibile adesso, con una salute e un'età da fachiro stanco.
Già lo sento il coro dei cinici modernisti, questi figli integralisti e fanatici del risultato, questi filosofi della vita Vip per i quali vale la pena lottare, sgomitare, infierire solo quando si vince, già li sento porre la domanda più banale e più scontata: ma cosa fa, ma dove vuole andare, ma chi glielo fa fare?
Bravi, bella domanda. Peccato che non siate in grado di capire la risposta. Sarebbe come spiegarlo in cinese a una platea di eschimesi. Quello di Nibali è l'alfabeto del senso del dovere, del rispetto per i datori di lavoro, per i compagni, per i tifosi, per il Giro. E' quello strano alfabeto, sì, un po' antico, che serve a comporre parole come fatica, onore, dignità. Tutti termini che risaltano molto, fino ad accecare, quando la vita sorride e porta ai vertici del successo, ma se possibile ancora di più risaltano nel momento buio della sconfitta e del fallimento.
Nibali va avanti, perdendo e riperdendo, senza timore di esporsi agli sguardi perplessi di chi capisce solo la lingua dei numeri 1. Degli arrivati. Va avanti perchè avanti bisogna andare sempre, in corsa e nella vita, fin quando è possibile, fin quando si riesce. Gli diranno anche che prosegue solo per soldi, certa gente è sempre pronta a mostrarsi benevola, come se Nibali avesse bisogno di questo supplizio per portarsi a casa lo stipendio. A voler proprio vedere, lo stipendio sicuro sarebbe il primo motivo per un ritiro legittimo, con i sinistri che ha accumulato, ben prima di Ala.
Ma non è da Nibali. Non è da campioni. Il campione è grande quando vince e quando perde. A me Vincenzo sembra ancora grandissimo proprio adesso, mentre sfila tra gli ultimi, con il suo polso a mezz'asta. Non a caso la gente migliore l'ha capito, e più di prima lo applaude.
Chi glielo fa fare? Cosa continua se tanto non può vincere? Cari ultrà del successo a tutti i costi, si può continuare per un altro motivo, anche più serio e profondo di una vittoria, qualcosa che io definirei con la più semplice e la più emozionante delle espressioni: si può andare avanti per passione. Dice niente questa parola?