Egan BERNAL. 10 e lode. Vola come è solito fare appena la strada lo chiama al gesto a lui più naturale. Tappa corta ed esplosiva e il colombiano fa quello che avrebbe fatto anche con Fedaia e Pordoi. Forse, visto come va, meglio così: Giro ipotecato, ma non chiuso. Perde almeno 5” per togliersi poco prima del traguardo la mantellina per mostrare al mondo la foto della vittoria con la sua bella e immacolata maglia rosa. Questo ragazzo non solo doma le montagne, ma controlla anche le emozioni: gambe e testa, nel rispetto della maglia rosa. Chapeau!
I SENZA PORDOI. 8. Senza il Pordoi, senza il Fedaia, la tappa Regina si è trasformata comunque in una bellissima principessa. Sempre seduttiva ed elegante, giovane e di gran classe, perché comunque la tappa di oggi non è stata una tappetta. Correre sotto la pioggia battente non è mai bello né semplice. Correre tappe così brevi con salite come il Giau non è in ogni caso una gita di piacere. Il dibattito è comunque aperto, apertissimo. Ma questo è ciclismo? Dove finisce l’epica e inizia la sicurezza? Quale sarà il futuro di uno sport che non vuole più rischiare l’osso del collo? Io credo che oggi sia l’organizzazione che i corridori abbiano preso con il presidente di giuria la decisione giusta. Certo che dispiace, ma le discese del Fedaia e del Pordoi sarebbero state un rischio troppo grande da affrontare in condizioni estreme, visto che a quelle latitudini era data anche pioggia mista neve e il fondo stradale gelido, se non ghiacciato, sarebbe stato un rischio troppo grosso per tutti. Ci ho pensato: il cuore dice la corsa è corsa, pietà l’è morta. Il cuore chiama l’epica e l’estremo, ma poi c’è la ragione, che mi porta a dire che non si può morire sul lavoro; non è giusto mandare al massacro ragazzi che chiaramente sono in corsa e vanno di conseguenza al limite e spesso anche oltre. Con questa logica dovremmo tornare alla F1 degli anni Settanta, con monoposto che garantivano ad ogni impatto morte quasi certa e i circuiti neanche avevano le vie di fuga. Così pensando dovremmo chiedere a Valentino Rossi e soci di non correre più con le protezioni, come un tempo. E i corridori perché mai allora dovrebbero indossare il casco? No, io non me la sento di mandare allo sbaraglio i miei figli, i miei fratelli, i miei amici con i quali condivido la passionaccia per uno sport splendido che deve essere duro sì, ma non crudele o spietato. Oggi hanno corso per ore sotto una pioggia gelida e ininterrotta, e alla fine hanno scalato il Giau (la nuova Cima Coppi del Giro, 2.233 metri), una montagna vera, con conseguente discesa a rotta di collo. La corsa è stata corsa, non si può dire che si siano risparmiati, così come non si può dire che sia stato un ballo in maschera. Questi ragazzi non si sono sottratti ai loro doveri, non hanno tradito il loro sport. Il cuore forse avrebbe voluto vedere lo spettacolo più folle ed ardito, solo per uomini veri, come in un videogame. I miei occhi no. Ci penso su un attimo, tiro un lungo sospiro, e la mia ragione mi dice che così no, non si può. Va bene così, anche con una tappa più corta di sessanta chilometri e una cima Coppi più bassa di sei metri.
Romain BARDET. 9. Uno dei protagonisti di questo Giro meno considerati in assoluto, non tanto da noi osservatori, ma dagli addetti ai lavori, dai tecnici dei team. Lui si mette lì tranquillo e con tranquillità se ne lascia un po’ alle spalle.
Damiano CARUSO. 9. Monumentale, eroico e indomito, prendete tutti i superlativi e gli aggettivi a vostra disposizione e usateli a piene mani. Questo eterno ragazzo ci fa sognare, con un Giro da sogno. Di professione luogotenente, uomo d’aiuto e d’esperienza, ma lui all’occasione si mette i gradi e non fa rimpiangere nessuno. Lui è l’uomo al fianco dei grandi, ma in questo Giro pochi sono più grandi di lui.
Giulio CICCONE. 6,5. Corsa di fatica e di sofferenza, gioca sulla difensiva e lo fa benissimo, tenendo la posizione. Giornata proficua.
Hugh CARTHY. 6,5. La sua EF fa un grandissimo lavoro, uno dei più belli visti in questa tappa, poi il britannico fa quello che gli consentono gli avversari e le sue gambe.
Joao ALMEIDA. 7. Il suo è un Giro in rincorsa, iniziato malissimo e proseguito molto bene. Altra giornata positiva, nella quale il portoghese fa vedere di che pasta è fatto.
Aleksandr VLASOV. 6,5. È sfortunatissimo, perché oltre a pensare a una tappa che annebbia la vista, ha a che fare con una mantellina che gli finisce nel cambio e lo costringe a scendere di sella a perdere terreno e ad inseguire. E a cercare di limitare i danni: ci riesce.
Davide FORMOLO. 6. Corsa d’attacco, cercando di anticipare il più possibile, per poi gestire le forze. Il suo nono posto finale non è poca cosa.
Simon YATES. 4. Il fantasmino oggi non si fa vedere, e non solo per la nebbia.
Vincenzo NIBALI. 6,5. Vincenzo non si spezza, anche se ha un polso fragile, le costole che gli dolgono, gli anni che pesano sul groppone, ma lui corre, e lo fa con lo spirito di sempre. Ci prova fin dal mattino, con il suo compagno di squadra Amanuel Ghebreigzabhier, più Gorka Izagirre (Astana-PremierTech), Davide Formolo (UAE Emirates), Joao Almeida (Deceuninck-QuickStep) e Antonio Pedrero (Movistar). Anima una corsa di livello, dando il suo contributo, che non è mai poca cosa.
Remco EVENEPOEL. S.V. Il bimbo è bimbo e deve crescere. Non dovevamo saperlo noi, ma chi ha deciso di fargli correre al rientro dopo nove-mesi-nove di inattività una corsa dura e selettiva come il Giro. È bene che capisca subito di che razza di sport è il ciclismo? Credo che il ragazzo lo sapesse già bene anche prima. Oggi il bimbo conosce la prima grande “debacle” di una carriera ancora acerba, ma con questo vizio che ormai i ragazzini possono tutto, anche chi li guida fa la figura dei ragazzini.